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Amy Bernardy: L’Abruzzo che emigra
– Italia randagia attraverso gli Stati Uniti –

 

Nel 1913 la giornalista fiorentina Amy Bernardy pubblica un libro dal titolo “Italia randagia attraverso gli Stati Uniti”.  Bernardy fu una delle prime scrittrici ad analizzare da vicino il fenomeno delle migrazioni degli italiani negli Stati Uniti d’America, realizzando numerosi servizi e studi su incarico del Commissariato generale dell’emigrazione, organo del Ministero degli Affari esteri. In un capitolo del suo libro si concentra approfonditamente sull’emigrazione dall’Abruzzo, evidenziando molteplici aspetti del fenomeno senza nascondere il suo punto di vista, spesso tagliente e crudo, caratterizzato da un forte nazionalismo. Bernardy, negli anni seguenti, sostenne con convinzione il Partito Nazionale Fascista, sposandone la causa nonostante le innumerevoli contraddizioni con le sue ricerche e il suo ruolo di donna emancipata. Le testimonianze raccolte da Bernardy rappresentano un’importantissima fonte per ricostruire la storia delle migrazioni italiane.

L’Abruzzo che emigra.

Emigra, e questo si sa, da Celano a Manoppello e da Castel di Sangro ad Antrodoco. Ma io che ho avuto occasione di vederne qualche cosa più da vicino, voglio segnarne qui alcuni fatti, alcune cifre, come mi si son venute offrendo in special modo tra i confini della Marsica e quei del Molise, e nella valle del Sangro e in quell’agro di Sulmona, dove non c’è paese, si può dire, che non abbia la sua colonia americana; e non famiglia senza la sua tradizione, le sue reminiscenze, le sue relazioni, i suoi vincoli oltremare. A cominciare da Avezzano (Tagliacozzo e circondario espatriano relativamente poco) a misure che ci si addentra nella Marsica e nella regione Peligna, l’esodo assume proporzioni considerevolissime. Emigra, dunque, Avezzano; emigrano Massa d’Albe, Magliano, Pescina, Celano con la sua frazione di Paterno; Luco dove una volta si viveva di pesca e donde la bonifica del Fucino ha spinto gli uomini a cercare altre fortune; emigrano Capistrello, Forme, Corona, Castelnuovo e San Pelino, Popoli e Bugnara. Ad Antrosano l’emigrazione è abbondantissima. A Pacentro, Pettorano, Introdacqua sebbene sia un poco diminuita da quello che era anni fa, e soprattutto prima della crisi americana, resta tuttavia importantissima. Emigrano anche ed ancora Villetta Barrea, che due anni fa, con meno di duemila abitanti, ne aveva ottocento oltremare; Rivisondoli, che di 2500 o 2600 abitanti ne “tiene” cinque o seicento in America, e fra essi una ventina di famiglie complete; Pescasseroli, che è rimasto affollato di donne, di bambini e di vecchi, mentre gli uomini se ne vanno. Da Campo di Giove che ha 2000 abitanti, 50 o 60 nuove partenze all’anno ci sono sempre; da Raiano 200. Anversa con 1500 anime, più una frazione che ne conta altre 500, ha fra due e trecento espatriati; e densa è l’emigrazione di Canzano, e densissima quella di Pratola, che in questo momento è forse il paese più fuoriuscito di tutti. Con 3000 abitanti Alfedena ha 935 esuli e un buon terzo di Scontrone anzi più (700 su 1700) sta di casa fuori. Quanto a Sulmona, l’ultimo censimento dava per espatriate cinquemila famiglie. Quante ne sgattaiolano poi via senza passaporto non sarebbe così facile a dire… È tutta vecchia immigrazione, ormai (sono 30 anni che da Pacentro e da Canzano si emigra, e venti che si parte da Sulmona, da quando cioè con la peronospora cominciò la crisi vinicola): vecchia ed esperta, che si orienta e si polarizza per tradizione di famiglia e per affinità topografica più che elettiva, accentrandosi intorno allo Stato di New York, e particolarmente a Paterson; in Pensilvania e a Chicago (salvo le eccezioni di Cansano che va al Colorado, e di Anversa che ramifica a Boston); vecchia emigrazione ed esperta, che conosce per nome e per prova ferrovie, percorsi e bastimenti, e ne discute i meriti rispettivi di cibo, di organizzazione, di rapidità, di sicurezza. E ci sono in materia delle preferenze localizzate. Così, mentre ad Introdacqua di preferisce la bandiera britannica, a Sulmona i germanesi son quelli che fanno più affari. Pochi ne fa dovunque, finora, il Lloyd Sabaudo ultimo venuto. Decorazione inevitabile delle stazioni ferroviarie sono i cartelli della Navigazione e della Veloce; anzi, a Pescocostanzo le rappresentanze delle maggiori Compagnie italiane sono assai notevoli per le variopinte insegne che richiamerebbero l’attenzione del profano più disattento; e similmente altrove. Ma tutta la réclame dei germanesi, per esempio, non arriverebbe a scuotere l’opinione di un reduce di Pittsburg che ascoltavo asserire, con piena conoscenza di causa, come qualmente “sugli inglesi ci si mangia sempre più civile”.

I caratteri dell’emigrazione abruzzese

L’emigrazione abruzzese, composta di elementi non dissimili da quelli che altre regioni d’Italia mandano oltremare, si compone, è vero, principalmente di braccianti, terrazzieri o sterratori, ma dà anche un largo contingente di minatori, scalpellini e carbonai. E quindi differisce sensibilmente dall’emigrazione di altre regioni, in quanto il mestiere stesso di tanti de’ suoi, vale a condurli fuori delle città congeste, presso le cave di pietra, lungo le “tracche”, nei boschi e via dicendo. Il che è certo un bene. L’unica città in cui li troviamo accentrati oltre Chicago è la ferroviaria e mineraria città di Pittsburg; e sia nell’una che nell’altra gli indirizzi domiciliari rivelano una tendenza al suburbanismo piuttosto che all’urbanismo. Interrogatene molti, di quelli che emigrano in Pensilvania, e sentirete nomi di piccole città rurali e di villaggi ancora più o o meno campestri. Già, minatori, scalpellini sterratori e carbonai di razza come son questi, non potrebbero fare altrimenti, e i compaesani li seguono.

Le cifre dell’emigrazione transoceanica non diretta all’America del Nord sono qui minime: dei suoi 935 emigrati, Alfedena nel Sud America ne ha dieci soli; uno ne ha Villetta Barrea (e uno in Cina); uno o due Scontrone, e così via. Quello che è certo è che anche qui sono passati i tempi d’oro, diremo così, dell’emigrazione, in cui per emigrare si prendeva denaro a prestito (per lo più dai vettori stessi) ad un interesse altissimo, che poteva salire talora fino al trenta e al quaranta per cento, ed in cui un solo agente in un solo anno e in un centro non grandissimo si faceva venticinque mila lire. Ora gli agenti sono molti; il denaro si trova facilmente in prestito al tre o al quattro per cento; le percentuali sui passaggi, da venti e più lire sono scese a dieci; il lavoro è diviso e minore anche il numero degli emigranti (quando da un paese tutta la forza virile è andata, bisogna pure dar tempo di crescere ai marmocchi … ); e con tutto ciò la professione rende ancora. 

Ma agli emigranti stessi che profitto percepibile dall’estraneo osservatore, e in quale aspetto, dà l’emigrazione? Parliamo subito di quello materiale, ché le sfumature psicologiche e l’ambiente morale richiederanno altro discorso. Ecco, dunque, per la parte puramente materiale. In relazione a questa, nessuno potrà negare l’esistenza del vantaggio economico immediato, e se si riesce a far astrazione da tutte le circostanze concomitanti, dalle condizioni, dalle esigenze, dai sacrifici dell’esilio e del nuovo ambiente, certo è che l’emigrato d’Abruzzo è un individuo che fuor di casa guadagnando dieci, in genere si “arrangia”, in modo da spendere cinque, e che quindi riporta 5 a casa, netti da ogni aggravio e spesa (ecco fra parentesi perché tutti dilettanti e i teorici dell’emigrazione si fanno banditori dei suoi vantaggi, a oltranza: non avendole vedute e vagliate, possono fare astrazione da quelle circostanze e conseguenze, ed emettere un giudizio in base alla pura statistica economica). Appena i primi risparmi han finito di pagare il debito quasi inevitabilmente contratto all’inizio dell’emigrazione, il denaro che poi sopravanza viene diversamente impiegato nei diversi centri. l’acquisto di immobili e la forma di investment preferita. Si avvera anche per l’Abruzzo, come fu notato per altre regioni, il fatto delle case restaurate e delle case nuove nel villaggio antico: ad Avezzano i contadini han fatto così tutto un borgo nuovo “con i soldi americani”: ed è innegabile che tutta la Marsica ha risentito il beneficio economico dell’emigrazione. Così l’hanno risentito in genere i paesi che hanno sofferto di più nella loro esistenza e che stavano peggio; ma i paesi che si trovavano e si trovano in discrete condizioni, oltre ai danni morali ed igienici di cui parleremo in seguito, non traggono poi grandi vantaggi economici, perché in essi l’emigrazione, quanto guadagna tanto spende, e non spende poi nemmeno in paese, o almeno in cose durature o realmente utili al benessere familiare e civile: esempio Alfedena, dove l’esodo è cominciato da poco, e più per quel fenomeno di snobismo, diremo così, emigratorio, che è ben noto a chi ha pratica di queste cose, che per necessità reali ed impellenti. Così ad Anversa, mi diceva un autoctono, spesso si emigra o “per mania” o “per abitudine”. Venuto il tempo delle partenze, quelli che sono abituati a partire sentono direi quasi l’istinto della migrazione e vanno: “magari a far niente, ma vanno”. Il paese natio non rappresenta più la dimora stabile, ma il fugace intervallo fra due viaggi; e se ci stessero più a lungo, si troverebbero spostati ed infelici: “non sanno più abituarsi a rimanere a casa.” 

Associazioni di campanile

Viceversa ricostruiscono le associazioni della gente e le affinità di campanile, oltremare: a Chicago c’è una succursale della Società operaia di Scontrone, fondata nel 1893, che tiene in cassa 1200 lire, da cui i soci possono levare dei prestiti di lire trecento l’uno, generalmente a scopo migratorio: i soci sono centosessanta fra quelli di casa e quelli dell’estero, e si chiamano ufficialmente “I valorosi figli del Sangro”. A Hoboken, N.Y., ha il suo quartier generale la “Società di Mutuo Soccorso Maggiore Luigi De Amicis fra gli alfedenesi e dintorni”, dal cui statuto stralcio qualche articolo più curiosamente significante delle condizioni coloniali.

Articolo 14, per esempio: “Se si venisse a scoprire che un socio avesse commesso qualche omicidio, o che avesse dato un falso nome alla Società prima della sua ammissione, verrà immediatamente cancellato dai ruoli”.

Articolo 25: ” Il socio che per disgrazia di morte venisse a perdere la legittima moglie, la Società accompagnerà la medesima fino ai limiti della città. Di più la Società pagherà al marito $ 25.00 oppure se è escluso l’accompagnamento $ 50.00 „. 

Articoli 31-37: trattano esclusivamente di funerali, argomento, come si sa, incalcolabilmente importante nella psicologia emigrante.

Articolo 41: “Non potranno essere eletti a presidente, tesoriere e curatori se non coloro che avranno ottenuto la cittadinanza americana „.

Art. 59 : Il medico sociale ” non è tenuto a visitare coloro che fossero affetti da malattie sifilitiche o da ferite ricevute in risse provocate „.

Ma questi alfedenesi “e dintorni” così uniti in un patto fraterno sotto l’auspicio d’un nome meritatamente illustre e nella terra nativa e negli infausti annali militari della giovane Italia, questi alfedenesi certo han fatto meno per la loro città che non abbian fatto per la loro gli espatriati di Scontrone, i quali sono affezionatissimi al paese e tengono a dimostrarglielo. Già han donato una chiesa alle masserie; e si farà una cappella al camposanto con grande concorso di contribuenti americani.

Conseguenze edilizie e rurali

A Rivisondoli si sta costruendo in larga parte la nuova chiesa monumentale con offerte di emigrati. E un po’ dappertutto le case degli emigranti, nuove o rinnovate, e non senza pretese d’eleganza, rappresentano il nuovo stato di cose. Altrove, come ad Anversa, e intorno a Sulmona, sono gli acquisti di terreni che son più considerevoli. S’intende che poi sul terreno per lo più si alzano le quattro mura. Manco a dirlo, è favolosamente rialzato per contro non solo il prezzo della terra per effetto di queste compre a piccoli lotti, ma e il prezzo degli affitti ai contadini che pagano con denaro d’oltremare, e il prezzo delle mercedi ai lavoratori, voglio dire a quelli che ci sono, perché in maggioranza… non ci sono più. Per capir bene la situazione nell’agro sulmonese, bisogna ricordare che il contadino di quei campi abita entro Sulmona città, e ha due tipi di domicilio; il primo consta di un solo stanzone terreno, con un portone. A metà dell’altezza viene eretto un palco di legno, con una ringhierina dove si apre la rostra del portone, e su questo palco, che così viene a formare una stanza e al quale si accede da una scaletta di legno, vive, dorme, mangia, insomma abita la famiglia con tutte le carabattole dal letto al fornello, e qualche volta anche le galline e il gatto. Sotto, fra il palco e il pavimento, abitano gli animali, e si fa stalla e attrezzeria in generale.

Il secondo tipo, più evoluto, consta di una stalla a terreno e di una stanza al primo piano, intercomunicanti mediante una scala di legno. E dentro le mura di Sulmona città abitano circa 11.000 contadini in questo modo. Ora, l’emigrazione aiuta un poco a sfollarli, perché quando tornano con denaro comprano il campetto, si fanno la casa, e si portano gli animali e le carabattole in campagna. Quando tornano con denaro, ho detto, poiché, mentre quelli di Pacentro e di Introdacqua quando vanno fuori fanno invariabilmente delle economie, data la loro frugalissima natura e la qualità della loro vita americana che sappiamo: mentre a Scontrone non c’è “ritornato” che non possa disporre di mille franchi, quelli di Sulmona, ormai inurbati e un po’ malavvezzi, più raramente tornano con qualche risparmio.

A Pacentro la popolazione, meno agglomerata, si stende su terreni il cui prezzo, da 1500 l’opera: — 2400 mq. — è salito ad oltre 3000. Si tratta naturalmente di terreno coltivabile, non fabbricativo. Anche a Bugnara i prezzi della terra sono altissimi. A Pettorano finisce che la terra non si coltiva più, per mancanza di braccia. Spesso alle vendemmie nell’agro sulmonese mancano i coglitori, e le donne, i ragazzi, i vecchi cadenti che offrono l’opera loro esigono un compenso di cinque lire al giorno. Ora, quando si pensa che la giornata di un trasporto costa dieci lire e il foraggio, mentre l’uva si vende a due lire e mezzo al quintale, non occorrono altri commenti. Converrebbe meglio coltivare grano ed ortaggi, ma la tradizione della vite perdura; forse i contadini rimasti finiranno col lasciarla morire di morte naturale. Che tristezza per la vitifera Italia!

È risaputo che gli artigiani in America non fanno nemmeno quel tanto di fortuna che arride ai contadini, sterratori, ecc. Ebbene, ne parte sempre un certo contingente, mentre a Sulmona stessa la giornata di un muratore va sulle cinque lire e mezzo, mentre quello che lavora a cottimo può arrivare fino a sette; e il vino costa niente. La vera America, a quanto pare, comincia a esserci piuttosto in Italia…

Nella vallata del Sangro e nelle altre regioni montuose (dove la pastorizia poteva essere la ricchezza del paese) diminuiscono le pecore, perché non si trovano più pastori pur pagandoli il triplo di quello che si pagavano prima: l’emigrazione ha distrutto l’armento. E se qualcosa ci guadagna l’economia individuale, per contro l’economia municipale ne soffre: i municipii non possono più affittare la montagna a pascolo, e di questa diminuzione di rendite aggiunta alle maggiori spese amministrative richieste dal movimento delle migrazioni si trovano poi costretti a rifarsi con le tasse. La tassa di focatico che ora suscita tante lamentele e che prima non c’era, si è dovuta applicare appunto in seguito alla diminuzione delle rendite di affitto dei pascoli.

Interessante poi anche la ripercussione del fenomeno emigratorio sulla pubblica istruzione. Attualmente le scuole sono affollatissime, e non sempre dappertutto per disinteressato amor del sapere o per convinzione che dopo tutto a imparare a leggere e a scrivere valga realmente la pena, ma perché la minaccia fatta in America dell’ “Educational test” cioè esclusione degli analfabeti, applicata all’immigrazione italiana, riuscì a mandare a scuola i marmocchi qui. Quindi è che la proposta Sonnino per l’avocazione dell’istruzione elementare allo Stato sarebbe stata salutata con gioia dai Comuni : la sola Alfedena avrebbe risparmiato quattromila lire; cioè si sarebbe trovata in grado di erogarle verso altri miglioramenti, che poi l’opinione dei ritornati si maraviglia di non trovare “al paese”. — Qui stiamo ancora nel 1850 — mi diceva un “retour d’Amérique”, ad Introdacqua dopo essere stato “foreman” sulle tracche della Susquehanna & Western Railroad. Di qui, quanta psicologia! Ricorderò solo che quello stesso lamento di “retrogradismo” (testuale) l’ho sentito da altri molti, e principalmente da un cittadino di Bugnara, la quale se non lo sapete anni fa per spontaneo moto degli animi riconoscenti si sentì in dovere di celebrar la memoria di Cristoforo Colombo, come di colui che colla scoperta dell’America aveva provveduto nei secoli al benessere del paese.

Partenze

Un giorno di partenze americane, affollate quanto e più di quello che si può ritener normale in stagione morta, ho percorsa la linea del Fucino in parte, e poi la Avezzano-Sulmona, e poi la Sulmona-Isernia fino al confine del Molise. E ne valeva la pena.

La prima tappa era una piccola stazione alta, sperduta fra i monti, la sera. Violacea sera soffusa di dolcezza e di tristezza, come sempre nell’alta montagna, dopo il tramonto : il fumo del convoglio soffermato si sperdeva con la nebbia saliente delle umide erbe, nel velario immane. Lontano, un armento si attardava a brucare le ultime cimette profumate, prima di tornare al chiuso; e colei che lo vigilava, salita su di un masso per meglio vedere, ammantata di bianco sulla veste oscura, appoggiata al vincastro, guardava la migrazione de’ consanguinei avvenire; come un simbolo vivo dell’agreste Italia, che guardasse precipitarsi verso il mondo macchinoso e lontano i figli randagi. Fra il pianto delle donne, il rombo del treno e il fallace riso augurale della folla la vocetta di un bambino si sentiva chiara:

~ All’America ci voglio andare anch’io! all’America ci voglio andare! —

Quando, partito il treno, il piccolo reluttante tornò lungo la strada, la custode degli armenti gli agitò la mano in un saluto. Tutta l’agreste Italia ora ancora li, anche nel saluto al piccolo piangente. Perduto, infatti, anche lui per la terra nativa: educato anche lui, per il domani imminente, al desiderio della vita migrabonda verso ” la terra che fa dimenticare”. Il treno, intanto, correva già lontano. Altri ne portava via con sé la famiglia, che dovevano anch’essi ascendere l’alta prora delle navi, quale col piccolo passo di gloria, quale in braccio alla madre, quale non nato ancora… nella folla confusa ed amorfa destinati a recare quel segno di bellezza che non si scompagna mai dall’immagine d’Italia nemmeno sotto le altrui bandiere… 

Le istantanee della rotaia

Decisamente, il viaggio valeva la pena per tutta l’illuminazione che alla psicologia dell’Abruzzo che emigra i mille dettagli vissuti potean conferire. Poiché non son meno interessanti talora le istantanee della rotaia che le cifre del municipio, e nelle querele dell’ “accompagno„ come nelle osservazioni del ferroviere ci può esser qualche cosa che è significante quanto le narrazioni dei vettori o le trenodie delle vestali, qualche volta infedeli, del deserto focolare. Per esempio, fra le osservazioni del ferroviere, questa. Ripartiva uno, tempo fa, dopo aver comprato al suo paese, che non nominerò qui, un fondo del valore di undicimila lire; e viaggiava colla famiglia in base alla undecima concessione. Bisogna sapere che gli emigranti per l’estero viaggiano col beneficio della concessione decima sulle ferrovie dello Stato, ma si può a ogni modo esser sicuri che una forte percentuale chiede l’applicazione della tariffa XI (per l’emigrazione interna), salvo poi ad imbarcarsi per l’estero. Come pure, nelle comitive di braccianti si riscontrano molti che, già braccianti ed emigranti nella tradizionale accezione del termine, sono diventati piccoli proprietari, ma continuano ad approfittare delle concessioni che non spetterebbero più di diritto a loro. Né è indifferente la reciproca sostituzione di passaporto e di persona, e via dicendo.

Torniamo al nostro emigrante-proprietario, il quale viaggiava con la famiglia in base alla undecima concessione. Il controllore ferroviario gli chiese se avesse carte comprovanti la sua idoneità; e quello, tirando dalle profonde tasche della giacca un fascio di documenti:

— Ma sicuro! Delle carte qui ce ne stanno tante; a voi, scegliete. —

Il controllore scelse… l’atto d’acquisto del fondo, e, manco a dirlo, fece annullare la concessione. Amministrativamente, resta l’interrogativo, anzi l’esclamativo, circa la potenzialità di un Comune che osa scrivere tra i suoi miserabili un possidente, dato il medio valore di quelle terre, quasi cospicuo. E potrebbe parer significante all’osservatore il sintomo della frode, se non accadesse così soventi che i biglietti di rimpatrio dall’estero sian chiesti ai Consolati da gente che tiene fino a sessantamila franchi in contanti depositati alle banche locali. Del resto, per quanto riguarda questa miseria tesaurizzante, ricorderò anche il caso del ritorno di una donna con cinque bambini, mentre il foglio di via ne prevedeva solamente tre. Dopo mezz’ora di contestazioni e di proteste per l’aggiunta dei due rampolli suppletivi, solo alla minaccia di riportarla in questura la donna cedette, e pagò la differenza e credo la multa con alcune sterline tratte da un sacchetto d’oro gelosamente conservato in seno. Del resto, al più piccolo incidente per cui si richieda un supplemento o un aumento d’esborso, si sente subito dai ritornati maledir la patria ed esaltare “la terra della libertà”, i cui regolamenti hanno l’unico difetto di non trovarsi vigenti anche in Italia…

Triste è invece veder le frequenti contestazioni al passaporto, in base all’inverosimiglianza dell’età designata; uomini di trenta a trentacinque anni che ne dimostrano cinquanta, o viceversa, giovanotti di ventidue che pare non arrivino a sedici: e spose di venti che dovrebbero, per la verosimiglianza, declinarne trentasei. L’America li estenua così.

Drammi e romanzi

Di tanti drammi e romanzi è testimone il treno! Che mano ha scritto a lapis sul muro della stazione di Alfedena: “How I love you!” ? E avrà mai per avventura un epilogo tragico, o resterà nei limiti della “pochade” grottesca e della infedeltà volgare l’atto della donna che piangendo e ululando vede partire il treno, e in esso verso il bastimento il legittimo consorte; e ricompostasi poi in sorridente attesa da un altro treno accoglie fra le braccia l’amante che sopravviene? Storie di folla ignota? Ignota per nome, ma la sua storia io la so e la potrei dire senza paura di sbagliarmi perché è la cento volte vissuta, le mille volte ripetuta, storia di tutti… La smania irrequieta dell’andare, l’irresistibile attrazione dei sùbiti guadagni e le ricchezze confusamente favoleggiate; il nostalgico desiderio del ritorno, la constatazione un po’ stupita, un po’ dolorosa, un po’ rassegnata, che alle novissime ambizioni non bastano le nuove fortune; la sorte un’altra volta tentata, la disgrazia o la mala sorte che prolunga le attese.

Nelle comitive dell’ ”accompagno” di che altro se non d’America si potrebbe parlare? Si mandano dei saluti a Pittsburg e a Chicago, ad Overton in Pensilvania e a Bervin nel Colorado… “Come, vuoi tornare anche tu in America un’altra volta? Me ne dispiace assai…” — E l’altro di rimando: “Pure a me dispiace, ma sentite, mi sono innamorato con una americana…” Prende l’amico sotto il braccio, si allontana, discorrono animatamente. Io non posso ascoltar oltre, ma non importa. Non la conosco io forse pur senza conoscerla per nome, quella americana? Figlia di emigrati e già americanizzata, contagiata dalle influenze della fabbrica, abbacinata dai miragli indigeni, abituata ormai al cappellino della modista, al ” candy” e al ” rag-time”, non ella può comprendere o sopportare l’uomo d’Abruzzo rude e primitivo, la sua terra d’Abruzzo tragica, silenziosa e solitaria. Non le montagne fumiganti come stasera, nel pallido tramonto, di nuvole grigie, ella comprende e vuole, si da’ traffici e dalle fabbriche le città fatte fumose e oscure ; e nel plumbeo crepuscolo americano su cui la notte scende improvvisa, accendersi i globi della luce elettrica, come s’accende la luna radiosa quassù… Ma qui, gravate il petto degli ori ereditari, piangono le consanguinee – non una, di loro, certa “della sua sepoltura” … E non è tanto la tristezza individuale che mi colpisce in loro, di cui pure alcune sinceramente piangono il povero e caro amore interrotto travolto disperso a pochi giorni dalle frettolose nozze, quanto la tristezza della universale migrazione, l’oppressione del continuo distacco, il dolore del sempre rinnovato esilio, che sale dall’anima e l’avvolge, come la densa nebbia sale e avvolge la grande montagna… Ma intorno, che contrasto di pace austera diffusa solenne! Là nella pianura, sotto un colle di cui l’autunno ha fatta rovana la verzura (e il sole che declina tinge di viola e di porpora quel rovano) nel prato che trascolora dal verde fresco e rorido dell’erba più vicina al grigio del macigno più oltre indefinito, c’è un armento; e ancora una donna ammantata come usarono nel tempo antico le progenitrici, appoggiata al vincastro, guarda pascere il gregge, e il treno partire. Tutta nell’oscuro manto ella si raccoglie: tutta ella simboleggia la Bellezza fatta di melanconia che è nel morente autunno, la Bellezza fatta di tradizione, che quei profughi infrangono. Tutta ella mi raffigura la pastorale Italia che si attarda fra gli alti monti ancora, mentre già le strisciano e le soffiano accanto i ferrei ingranaggi della più spietata e mostruosa modernità. Ella è un rimpianto e un mònito, nella grande pace. Nostalgica veramente, pace d’Abruzzo che costoro non godono, che io non godo, sospinti gli uni e gli altri nel vortice delle attività inutili e necessarie…

Ancora un piccolo che ulula: vuol andare con suo padre; la madre piange in silenzio, oltre che della partenza, anche di quel pianto. Il treno va.

Sulla piattaforma restano, con tre vecchi cadenti, undici donne e una mezza dozzina di bambini. “Le navi sono al porto — E vogliono collare : — Vassene la più gente — In terra d’oltremare… „. — E col rumore del treno che va si sente anche una volta il solito lamento di bambino che continua a mugolare : “All’America con papà mio ci voglio andare pure io… pure io”. — Così incoscientemente si educa il piccolo Abruzzo al desiderio della lontana patria, che sta di là dal mare.

I sintomi della febbre americana

Della febbre americana si riscontrano i segni, i sintomi direi quasi, attraverso tutto il paese. Fin negli spilli da balia, che qua si chiamano “americani”! Giù per un viottolo dirupato di Scontrone, sulla soglia di una casa per un momento incustodita, giaceva una di quelle valigie di tela grigio-azzurra con borchie e cinghie di cuoio, che ogni operaio nomade possiede quando sta di là dal mare; alla stazione di Pettorano due donne — collana d’oro al collo e fazzoletto fiorito in capo — paragonano le rispettive calzature; una diceva: ” Mo’ vedi, con queste scarpe americane…” — Guardai: un dollaro e novantotto, garantito. Verificai, attaccando discorso: proprio così: comprate a Rete Granita (Red Granite) Mich. Su per la via di Palena, l’auriga alla cui bestiola affidai le mie sorti, l’apostrofava in inglese: ”Git up, Charlie, git up!„. — Era stato in Pensilvania due anni, in quella Pensilvania che naturalmente è tanto meglio dei tre Abruzzi… A Rivisondoli, dove la nuova chiesa si costruisce in gran parte con oblazioni americane, chiesi a un bamboccio tant’alto se sapeva indicarmi la casa dell’arciprete (dalla cui cortesia volevo ed ebbi interessanti notizie circa alla distribuzione delle sue pecorelle oltre mare); e il bamboccio, duro, mi rispose; ” Yes „. ” Yes „, rispondono senza esitare, come ignorassero assolutamente l’esistenza d’un “sì „, il cinquanta e forse il settantacinque per cento delle persone a cui fra Avezzano ed Alfedena vi capita di rivolgere la parola. E son pochi quelli che non vi capiscono se parlate inglese; quanti esattamente? Non so; meno certo di quelli che non vi capiscono se parlate in puro italiano. Ricordo una sera, vigilia di fiera a Castel di Sangro. Su un carro, al lume della luna, arrivano donne da San Donato, da Pizzone, da Montenero: una folla di maniche bianche e di denti bianchi; di labbra rosse e di panni rossi; di occhi neri e di gonnelle nere. Luci di collane sfuggite ai crogioli dell’East Side e di Market Street ; luci di sorrisi, sotto la luna radiosa d’Abruzzo, nella tristezza americana non disimparati. Vanno alla gran fiera che cade fra i Santi ed i Morti, venute su quel loro plaustro ancora latino per le lunghe vie bianche fra i coloriti monti. Venute col sole, si fermano ora che là verso Capracotta sale la luna, la gran luna bionda, lattea, pallida, opalina, che vela di agreste dolcezza il mondo. E nella gran dolcezza autunnale di che il cielo consola i campi che non han più grano, le viti che non han più vino, i prati che rassegnatamente aspettano la neve; nella gran dolcezza italica vespertina fra un tinnir lontano di campanelle (si attendano le greggi che vanno in Puglia: le pecorine emigrano anche loro) e il vicino latrar di un cane da pastore, festoso morbido e bianco, suona secco e stridente alla nostra italiana domanda l’americano “yes” : il “yes” della  “fattoria”, il “yes” del “bordo”, il “yes” dello “sweat-shop”. E l’eco d’un sì, che passa nel vento? Non ci badate: son cose là, dei tempi di Dante…  Reduci dal lungo esilio, han ripreso per forza l’antico vestire; ma l’antico eloquio, l’anima antica non la ritrovano più. Infatti, un’altra cosa e strana, che già in America avevo notato, anche qui mi colpisce. Finché vi parla in dialetto o in italiano, questa gente conserva tutte le ingenue arcaiche tradizionali forme dell’indigena cortesia: voi siete “signorìa”, e vi ringraziano ”della domanda”, coll’inchino all’uso d’un tempo… Fate che al nativo parlare si sostituisca pur una parola straniera: quell’attitudine rispettosa scompare e diventa quasi insolente. Perché agli schiavi del “boss”, del ”bordo„ , della ”sciabola„ , agli iloti delle “tracche„ , alle vittime delle miniere, ai reclusi del “peonage„ , agli sfruttati (dai “padroni„ , ai krumiri di tutti gli scioperi, ai ”dagos„ di tutti i “citizens „ , l’America ha detto, col “club„ del poliziotto e colla rivoltella del ”foreman,, , con l’asprezza del “boss„ e coll’ infortunio sul lavoro, col caso Maiorano e cogli ”unlicensed tenements„ , che essa è la terra dell’uguaglianza e la terra della libertà: loro ci credono, lo ripetono e lo applicano, a modo loro.

Il miraggio dell’oro

Ma l’America in Abruzzo non c’è soltanto nei sintomi esterni. Seguire l’infiltrazione delle nuove forme di vita nella natura stessa della razza, nell’anima della popolazione, sorprendere le strane misture e gli ibridismi che si congenerano al sangue latino con la lunga dimora nelle terre straniere ; i pericolosi innesti che si immedesimano al vecchio tronco e gli dan frutti strani di corruzione; e mescolanze di sapore (in abruzzese-americano, di “flavore „) inatteso al linguaggio e ai costumi, al pensiero e allo stato civile, è affascinante e doloroso al tempo stesso. Proprio come nella fiamma dantesca il bianco e il bruno, così qui ci troviamo a veder smorire materialmente e moralmente l’agreste italianità della razza, e sostituirvisi i caratteri stranieri, la meccanizzazione, la presunzione del nuovo industrialismo amorfo ed incolto.

Talora pur vigila e repugna l’anima antica; ma fra quella donna che ho conosciuto qui, che da venticinque anni suol andare fedelmente, il 22 agosto, al pellegrinaggio di Canneto (e durante i due anni che fu in America ci mandò invece sua una parente rimasta al paese) a quelle due emigrate alfedenesi che intorno ad Albion N. Y. si sono affiliate a non so più qual setta mormonica o religiosa, e vanno predicando alle compaesane la necessità di una nuova fede, che differenza, che dispersione di anima pia e di tradizioni semplici e devote ! E dai vecchi che consideravano quasi un dovere concorrere come potevano, alle tradizionali feste della ” chiesa del paese, nel mese — di Maria, piena di fior „ — a quei giovani moderni che non mandavano per devozione o per tradizione più niente, ma quando seppero che “si sarebbero pubblicati gli elenchi dei donatori e l’ammontare delle offerte„ si affrettarono a spedire i dollari, rivaleggiando anzi fra loro per l’ammontare, che evoluzione !

L’ anima antica.

Sentite le lettere dolorose che una emigrata di qui rimanda, ogni tanto, a traverso il mare. Sa leggere e scrivere, ma appena. Forse, nella consuetudine con alcune gentili donne, patrizie d’animo e di censo, nella cui casa ella visse qui, la sua coltura si è affinata alquanto. Ma l’animo è, nelle conterranee e in lei, senz’altro uguale.

“Non o nessuna cosa che possa farmi passare il tempo nemmeno un libbro italiano da leggere, meno che (qualcuno di orazione che mi portai, così passano i giorni vicino alla rangia * (“range„ : stufa) rammentandoci il tempo passato..:.. per la strada un altro poco ci morivamo dal freddo aveva fatta molda neve e tirava vento. Qui certi giorni sempra là fine del mondo e certi caldo tanto che sembra impossibile a credersi, si prendono facilmente i raffreddori… il Signore come vede così provvede. O ! come sarei contenta di vedere la signorina quando si fece la prima comunione assistere alla sua festa, e prendere anche io una comunione che forse non dovrò prendere più che in queste parti è assai difficile avere un prete italiano, volesse Iddio mi potesse ritrovare per un poco almeno nel nostro paese e rivedere il nostro vecchio arciprete… Per le paesane che sono venute o ricevuto tanti saluti…”

Altrove, della signora che s’interessa di lei : “E io non o coraggio di farle una lettera, ma siccome qui mi sono quasi dimenticata di scrivere e io mi vergogno „.

Ancora, alla madre, di una parente che aspetta la sua creatura: ” e dico beato lei che sta in italia e non tiene nessuna paura ci sono le levatrici e poi e la nostra lingua una può dire quello che si sente qui non ci stanno levatrici e dobbiamo fare tutto noi se poi ci fosse un bisognio si fa il telegrammo al medico e una povera donna deve soffrire solo a pensarci è qui la minima visita e di venti lire sai mia cara mamma che Domenico è stato poco bene e oggi sta alletto col raffreddore e per cosa di niente se ne sono andate 300 e 50 lire, che bella parola sono tre cento cinquanta lire figuratevi il mio dolore non per la moneta ma per lui ora sta meglio crazie a dio e prego voi di pregare la madonna e S. Anna che ci aiuta… „.

E poi, la piccola festa dei bambini a cui arriva il dono dei vecchi nonni lontani :  “per la commare palmuccia ebbe i confetti i miei figli furono tanto contenti e non li portarono nemmeno alla casa se li mangiarono tutti la noi ci divertiamo a vederli come erano contenti che avevano le confetti  dell’italia… „.

E il pensiero alla roba, povera roba, lasciata al paese : “ … non mi dite se quella cassa che mi daste voi era aperta se lavete chiusa che mi pare di averla lasciata aperta ci dovesse andare qualche siorcio se viene qualcuno che mi puole portare la coverta di casa me la mandate”.

Figuratevi! una coperta di casa che vale poche lire, e che viaggia affidata ad un altro emigrante, dodici giorni per arrivare a Nuova York e ventiquattr’ore di ferrovia fino a Chicago… Cosi è : costoro non realizzano la distanza. Un’altra donna manda a chiedere “una corona” di confetti (di quelle famose di Sulmona), che sia grande e buona per regalarla ad un inglese „. E ancora : “mi potete mandar pure un pacho di semente di papavero e di coccamadonna… „.  Anche il papavero fanno emigrare…

Una volta…

Una volta, e non dico “or è molti anni „, per tutta la terra d’Abruzzo non si conosceva che il vino : ora si beve birra, acquavite, cognac, e si ha sulla punta delle dita tutta la gamma del “saloon „ e del “bar „ : la regione ha trovato la via dell’alcolismo. Una volta, e dico di tempi recenti, si ballavano gli antichi balli paesani ; ma ora i “ritornati” han messo di moda i balli nuovi, americani, e non dico “polka „ , ma “valtzer „ e ” boston „, e magari il “Virginia reel „ ; i tempi nuovi e i sùbiti guadagni portan di conseguenza vanagloria e lusso non rispondente alle condizioni ereditarie delle famiglie, e la mancanza di misura nella spendita del denaro; e la simulazione di là, anche fra quelli che menano la più triste vita del “bordo„ e dello “slum„, ma scrivono qui alle parenti: “Mandateci la ricetta per fare i biscotti delle monache e la pasta reale, così ce li prendiamo dopo mezzogiorno col thè ., ; e la presunzione dei piccoli, che tornan verniciati d’americanesimo e vi dichiarano in inglese : “May be Rome is a decent place, but I don’t care for this here little town „ (dicono, e può essere che, Roma sia un paese a modo, ma questo paesuccio qui proprio non mi va)… E c’è di peggio : vedete, come ho veduto io, un giovanotto richiamato, in divisa militare, vilipendere l’Italia e glorificare Chicago, dove non vede l’ora di ritornare. E per che motivi! ” Holy Jesus Christ what a place! In winter you stay in, and drink and play cards (Santo Gesù Cristo, quello è un paese ! D’inverno si sta a casa, e si beve e si giuoca alle carte)…

I segni dello sfacelo.

Non ripeto quello che di siffatta psicologia mi dicono gli ecclesiastici delle cattedrali e delle pievi più o meno settecentesche. Malignamente forse domando poi a qualche laico illuminato il suo parare sul parere dei preti: e le risposte si possono organizzare press’a poco così : “I preti ci hanno piacere perché dall’America vengono soldi per le feste religiose; dispiacere perché emigrando e viaggiando, alle pecorelle si allargano le idee; piacere perché le donne restando sole restano più facilmente in loro dominio morale (e, di quelli mascalzoni, anche materiale ) ; dispiacere perché dopo tutto dei preti buoni ce ne sono, e la disintegrazione presente fa spavento a qualunque buon cittadino… „. — Conclusione : sarebbero contenti e scontenti anche loro… fino ad un certo punto ! Ma io credo realmente che abbia ragione l’ultimo asserto; e che i buoni preti, come i buoni laici, come tutti i buoni, non possano che vedere con un senso di sgomento e di trepidazione anche nei riguardi del futuro lo sfacelo che, nonostante le splendide qualità ereditarie fisiche e morali della stirpe, minaccia la salute delle cittadinanze, la integrità delle famiglie, lo stato civile di neonati e nascituri; e intacca di sifilide e di tisi le generazioni non nate ancora…

Il venti per cento dei ritornati, almeno, sono tubercolosi : il due o tre per cento vengono senz’altro a morire sotto il cielo nativo. Solo chi ha veduto, può sapere che tristezza è nei ritorni delle donne e dei bambini che ” vengono a prendere aria nativa”… Non tento una percentuale dei reumatici né dei sifilitici, due forme di malattia che l’Abruzzo finora ignorava o quasi. In paesi come Alfedena, dove la tubercolosi non ha precedenti, ce ne sono ora otto o dieci casi, ed erano scalpellini o selciaroli, gente che vive fuor della città congesta, anche in America. Tracoma ce n’è, ma non ancora molto diffuso nella sua propria forma, sebbene esista più abbondantemente in quella di congiuntivite follicolare. E fra tanti guai, fortuna vuole che coll’America meridionale il traffico sia più poco ; che di là tornano, dal Brasile come dal Messico, non pochi lebbrosi (ordinariamente lebbra tubercolosa) ; e ora comincia a vedersi la framboesia tropicale, meglio conosciuta sotto il nome di “boubas „, che più infierisce nei reduci da Pescolanciano.

Compenso ? Sicuro : per lo più tubercolosi e siftlitici e reumatici e alcoolisti hanno guadagnato, intanto, di che farsi delle belle case nuove, igieniche, pulite ; l’emigrazione ha fatto diminuire i delitti violenti, se pure ha fatto aumentar le querele per diffamazione e rese frequenti le firme false e le frodi ; inoltre, a misura che gli uomini imparano come quella di vendicar l’onore delle loro donne nel sangue, specie coi rischi che corre quell’onore in terre di frequente emigrazione, sia una ingenuità indegna di individui moderni e civili, le donne da parte loro cominciano a credersi uguali agli uomini nel diritto al marmocchio illegittimo, e autorizzate alla rappresaglia in fatto di infedeltà maritale. Il che darà gran gioia, per avventura, alle Cianghelle femministe e ai Lapi Salterelli banditori dei vantaggi dell’emigrazione, a tutti coloro insomma, che di questo ahi troppo abbagliante candore delle case nuove, e delle distese della piccola proprietà circostante molto si allegrano, e grandi per la patria e la civiltà voglion trarre gli auspicii. Ma non vedono costoro, per dio, con anima d’italiani, e con tristezza d’umanità universale, la più antica e tenace virtù della stirpe degenerare fra le nuove mura, salir l’effluvio dei nuovamente posseduti campi nei petti minati dalla tubercolosi, e il candore delle case nuove macchiato dai trabocchi dell’emottisi?

Di questa degenerazione fisica della razza, le sue vittime stesse non hanno coscienza. Se domandate loro, la prima cosa di cui vi parlano, e si capisce, è la subita mutazione nelle condizioni economiche. Poi nel seguito del discorso, inevitabilmente salta fuori l’accenno doloroso : “E fortuna che qualche soldo in America l’avevano fatto. Se no, come se la sarebbero cavata ora?„ Ma a nessuno viene in mente un debole parere di Don Abbondio, che non ci siano per avventura ne emigranti poveri e sani, né ritornati benestanti e mal ridotti… Che farci? La marea sale, la corrente travolge e va. E di quel tale, per esempio, che poco fa tornò a Rivisondoli con una coscia di legno e trentamila lire in contanti, si dice generalmente: — Che uomo fortunato! — Il ” piccolo accidente„ non conta.

Le giuste nozze.

Poiché non è l’integrità fisica dell’individuo che ha valore ormai, quanto la sua potenza economica. Passato è il tempo in cui poche centinaia di lire di corredo eran tenute, per una giovane di modesta condizione, “dota isfolgorata „ : le ragazze ora vestono alla moderna, e sposano in velo bianco e scarpette di raso, che vengono da Napoli e da Firenze e da Milano, poiché centocinquanta lire — trenta dollari ! — per un abito nuziale sembrano ragionevolissima spesa, e ” con meno di mille lire „ — mi diceva una buona donna — “qui non si può sposare„ : si vergognerebbero della loro miseria. Vero è che l’abito è donato dallo sposo, ma la donna porta il corredo suo personale, e la stanza da letto, ed è la famiglia di lei che offre il dispendioso pranzo. Così succede poi, che ci sono delle ragazze che non hanno le mille lire, e ricorrono all’espediente d’andare a trovar marito in America.

Le altre per lo più restano in patria ad aspettare il ritorno invernale dei giovanotti. Capitano costoro verso il Natale, e in quelle quattro o cinque settimane è un grande affaccendarsi di fanciulle e di comari dentro le antiche case e dintorno alle case nuove. Quando viene la domenica, giorno di funzione solenne in chiesa, i giovanotti sul sagrato aspettano l’uscita dalla messa. Escono le ragazze, adorne e civettuole, e ognuno adocchia quella che gli piacerebbe. Seguono rapide le ambasciate e si intavolano le relazioni: in tre o quattro settimane (la fretta americana incalza) l’affare è fatto, la cerimonia compiuta. La giovane coppia rimane insieme un tempo brevissimo, che va dai tre o quattro giorni alle sei settimane. Poi lui ripiglia la via dell’America, e lei rimane a casa ad aspettare che questo quasi sconosciuto ritorni a riprendersela, o la mandi a chiamare.

Qualche volta, ma più di rado, va la ragazza in America a sposare. Ecco una tragica storia. L’uomo manda il biglietto di passaggio alla fidanzata, che si prepara alla partenza; ma i genitori di lui, che frattanto hanno fatto fra loro altro pensiero, le dicono : — E tu sposalo pure, noi ti malediciamo, e che possa affondare tu e il bastimento, prima d’arrivarci. — La ragazza parte, ma poiché si è levata verso Gibilterra una tempesta tremenda, subito vede in quella l’effetto della maledizione dei vecchi, e appena sbarcata dice a colui che l’aspetta e che è venuto ad incontrarla, che per marito le fa orrore e spavento a pensare…

Come avviene in America, dove gli uomini validi son molti, e le donne poche, e i matrimoni avvengono per combinazione di paesani, al posto del respinto un altro subito si offre ; la ragazza lo accetta, si fìssa la cerimonia, si fa il banchetto con la consuetudinaria offerta dei doni. E interviene il respinto, a offrire il suo dono con l’una mano, e con l’altra a sparare due colpi di rivoltella. Fu ucciso a colpi di bicchieri e di bottiglie dai convitati inorriditi; il sangue macchia l’abito della sposa che sviene ; la stampa gialla pubblica a lettere di scatola le invettive contro gli italiani brutali e sanguinarii. E in un piccolo paese d’Abruzzo, due vecchi che il rimorso della impronta maledizione travaglia, trascinano miseramente l’esistenza orbata del figlio, unica gioia, unico orgoglio…

Ucciso, quello, dalla tragedia passionale nel fiore degli anni. Ma è meno tragica forse l’ecatombe dei giovani e delle spose, fiorenti esistenze minate dal malor sottile che gli anni d’esilio hanno infiltrato in loro; la sorte dei bambini condannati al contagio e alla morte prima di vedere il dolce sole?

Tempo fa il sindaco di un cospicuo comune qui presso ricevette d’oltre Atlantico un curiosissimo documento : è un suo concittadino e amministrato che scrive da una città dell’Ovest : ci si trova bene, è venuto nella decisione di stabilircisi per un tempo indefinito; ha più volte scritto alla moglie di venirlo a raggiungere, mandandole, s’intende, non solo i denari del viaggio, ma anche mille franchi per pagare i debiti che ” tenevano „ in paese : e con tutto ciò la donna non viene. L’ottimo Antonio si imbizzisce, sbuffa, freme, protesta, prega il sindaco “di farla chiamare e di leggere questa mia ” e di farle ben capire di ciò che io mi spicco in ” questa mia, se lei viene e bene e se non viene io  “non li mando non meno un soldo più… „. A richiesta della superiore autorità venne infatti la donna al redde rationem. E nel colloquio che ondeggiò per tutti i toni, dal tragico all’esilarante, dal grottesco all’elegiaco, non darò qui i particolari : solo ricorderò che la giustificazione della donna, sintomatica veramente, fu questa: non è ancora pronta a tornare in America, perché deve maritare la figlia. Ora, lo sposo tornerà il 28 dicembre. Per quel tempo essa, coi denari speditile dal marito, spera aver preparato e la stanza da letto che, secondo il costume, porterà la sposa, e il corredo (dodici camicie, quattro paia di lenzuoli, dieci “tovaglie,, , cioè asciugamani, sei “mensali„, cioè tovaglie, ecc.) e poter provvedere al pranzo di nozze. Quei tali debiti restano e bisognerà che l’ottimo Antonio mandi degli altri soldi: “per tener due figliucce femmine pulite a questi tempi, “lo sai pure, signoria, quanto ce vo’ „.

— E perché non andate colla ragazza a sposarla in America, dove c’è anche il padre?

La risposta, comica e convincente, non tarda:

— Perché né io né la figliuccia mia vogliamo fare il matrimonio dell’albero fiorito…

Le nozze dell’ “Albero fiorito”

Due infatti sono le perifrasi con le quali in Abruzzo si indica il “collage„ : una è in vigore dal tempo della rivoluzione francese, quando all’ombra degli alberi della libertà usava dire: ” Albero mio fiorito — tu sei la moglie, io sono il marito „ ; e l’altra equivalente, che sorge spontanea dai novissimi eventi, il matrimonio “dell’albero fiorito„ lo chiama ” matrimonio all’americana „ (si intende la convivenza senza l’ufficialità del matrimonio NdR) !

Di questo, tristi le tracce per tutta la terra, tristi in tutte le famiglie le conseguenze, e preoccupanti per la regolarità dello stato civile, aumentando come fa, e soventi senza mala intenzione o mala fede dei responsabili, i “figli di nessuno,,. Difatti, anche quelli che si danno la pena di sposare regolarmente secondo le leggi americane, e spingono magari lo scrupolo fino ad aggiungere la sanzione del giudice di pace a quella del prete e viceversa, si dimenticano poi di far intervenire il visto consolare là, e la registrazione allo stato civile quando tornano qui. Avviene bensì, per esempio, il caso di un individuo padre di quattro o cinque marmocchi, che torna in patria apposta per farli registrare in blocco; ma non è un caso che succede spesso. In un paese qui vicino c’è poi una donna che spinge l’abilità e la conoscenza dei “legai points„ a non mandare a scuola i suoi tre legittimi rampolli di 11, 8 e 7 anni rispettivamente, appunto per evitare di registrarli, e sottrarli così per l’avvenire all’obbligo di leva. Ma che conoscano la legge così a menadito ce n’è ben pochi, e specie di quelli che conoscendola l’applicherebbero al buon fine. Di venti individui, tutti di un solo villaggio, notoriamente accasati fuori entro lo spazio di otto o nove anni, solo due hanno rimandato i certificati di regolare matrimonio al prete del paese, il quale aveva dato loro le relative istruzioni prima, e si fece un dovere poi di avviare i documenti per la via necessaria. Bravo prete: e a questo proposito è lecito domandarsi perché e come sia lecito ad altri preti (e specie quelli italiani, in America) non avvisare i conterranei di quel loro obbligo morale e legale. Sarebbe altrettanto clemente e importante, almeno, quanto l’accenno di prammatica ai figli e ai mariti “emigranti alle lontane Americhe„ nei panegirici del villaggio….. Un caso stranissimo si trova a Scontrone: una mora, a nome Catalina, sposata a San Paulo da uno dei pochissimi abruzzesi emigrati là, il quale dopo averla portata al paese ed essersi pavoneggiato nella novità dell’evento, l’ha abbandonata, lasciandola colla figliuoletta Maria ai suoi genitori e ripartendo, ma questa volta per Chicago, di dove non dà più segno di vita. Povero fiorellino esotico espatriato in terra d’espatriati, la piccola mulatta gira per il paese fra le coetanee bianche, quasi vergognosa, lei come la madre, del sangue nero che le colora, sentendo oscuramente la terribile barriera che le divide dal mondo bianco dintorno. Barriera di sangue, e si capisce: ma poco fa distruggeva altrove altre speranze ed altre illusioni, in una ragazza indigena, una barriera di convenzioni grottescamente interpretate : secondo le promesse, venne dall’America il fidanzato a sposarla, e poco dopo l’abbandonava, non trovandola abbastanza “civile„ e “di società „ per presentarla nella vita d’oltremare! Incredibile quasi, e per la verità devo aggiungere che si crede non esser quella la ragione autentica: ma non è sintomatico il fatto che, se anche effettivamente non è, si sia potuto trovarla sufficiente a giustificare in faccia al pubblico il ripudio oltraggioso?

“La terra, che fa dimenticare… „.

Dicevo altra volta che della loro degenerazione fisica gli emigrati stessi sembrano non avere coscienza. Hanno coscienza, almeno, di quella morale? Hanno essi, i disertori del focolare, i profughi della gleba, gli avvinti dal fascino e schiavi del miraggio americano, coscienza della spaventosa trasformazione psicologica che l’America fa loro subire, dell’anestesia sentimentale che i vapori delle città fumiganti infiltrano loro nel cuore, delle tragedie familiari dalla irritazione delle giovani consorti alle trepidazioni delle madri canute? Pure hanno anche loro singhiozzato e pianto, quando lasciarono la patria per la prima volta “E vero, è vero! „ , vi rispondono quando interrogando li stringete da presso e ne destate l’anima antica ; e sale il ricordo ancora, agli occhi ed alla gola. Ma poi scrollano le spalle e vi dicono col gesto dei fatti scettici dalla molta vita : ” Eppure, tu signoria che ci foste, lo dovreste sapere : quella è una terra, che fa dimenticare…. „.

Per non lasciarli dimenticare, le loro donne talora si fanno eroine. Ho veduto una sposa di vent’anni, con una bambinetta di otto mesi, venire all’agenzia a prendere il suo biglietto. Viaggerà con certe compaesane. Il padre non ha ancora visto la piccina, che è rosea e florida : la donna non vuole  “lasciarlo solo all’America „, e vuole che prenda amore alla sua creatura. Perciò va : va con desiderio e con paura.

— Tu che ci sei stata, signora, all’America, l’America com’è? È bello all’America?

Per evitare la pietosa bugia, io rispondo evasivamente :

— Figliuola mia, tutti i paesi sono belli, quando c’è quello che gli si vuol bene…

Ma penso alla tristezza del lungo viaggio invernale nelle stive, alle ansiose attese di Ellis Island, alla trepida gioia dell’incontro che in quelle condizioni assume per le donne emigranti quasi l’aspetto di un salvataggio, all’orrore di quell’interminabile, umido, gelido inverno dei Illinois…

E un’altra giovane ho conosciuto, rimasta sola presso i vecchi «genitori del marito, che andò in America venti giorni dopo le nozze, promettendo, com’è naturale, di tornare o di mandarla a prendere. Attese un anno, attese due, e non veniva niente. Poi i compaesani le portarono notizia degli eventi. Il suo uomo aveva sposato laggiù “all’americana „ un’altra donna: ne aveva due figliuoletti. La donna non esitò: si fece imprestare i denari del viaggio, partì con certi paesani, ricondusse a casa il marito e ne prese i figlioletti con sé: l’ ” americana „ , senza troppi rimpianti, rimase. Se voi diceste:. “cattivo marito „, queste anime semplici vi risponderebbero: “era traviato, non era cattivo „. Preso, anche lui, dalla “terra che fa dimenticare „ ; preso, anche lui, dal fascino maligno della vita americana, dal desiderio della donna presente, contro l’amore della donna lontana: — corrotta forse la donna presente, ma forse anche infelice, esule anch’essa e illusa; preso, lui, nella ragna dell’esilio che non perdona. Perdonargli doveva la virtù di Griselda, il cuor di Isabella, la fedeltà di Silvia Settala, in questa povera creatura devota che per quel che hanno di lui, ” che era traviato, non era cattivo „ , accetta e benedice i figli non suoi, i figli dell’adultero, i figli della rivale; che non rivendica diritti ma rivuole amore; che non trascende alla rappresaglia, ma anche trascurata vuol restare schiava del primo padrone.

Quando io la vidi, e discretamente l’interrogai, ebbe un gesto come chi dicesse: “Ma era naturale… „ rischiarato da un sorriso di luce; mi mise una mano sul braccio:

— E tu, signoria, il signore vostro ce l’avresti lasciato?

Casi come questo non sono infrequenti ; e dopo questo, altro dire non voglio. Ma sulla dura vita risplendano, e di tutta la gloria, — unica, o femminismi ribelli e vendicativi, veramente femminile — di tutta la gloria del sacrificio d’amore, dell’umiltà d’amore, del dovere d’amore sulla dura vita risplendano, questi che io porterò con me nella memoria, esempi e ricordi di animo umile e costante, e di paziente e fiducioso cuore, dalla mia migrabonda visione d’Abruzzo; caratteristici esempii della bontà e della gentilezza della razza latina, quali fioriscono fra miserie e travagli, eroicamente e splendidamente pur nei più lontani esilii : e formano di sé l’anima più profonda e più buona della Piccola Italia.

Per queste e per le altre infinite virtù di razza all’immutata e profonda anima della Piccola Italia che nel tedio, nel travaglio o nel tumulto delle opere infaticabili sotto gli strani cieli sente oltre Oceano nel fondo del suo cuore grave di tutte le forze rudimentali della stirpe il grido d’Italia madre; alla Piccola Italia più vera e migliore vada il consenso e l’augurio di quanti sono in patria spiriti esperti di tutte le amaritudini e perciò misericordi a tutti gli errori della vita lontana.