Il lago Fucino e l’emissario Torlonia –
Il Giornale Illustrato (1865)
Trascrizione integrale dell’articolo pubblicato sul periodico “Il Giornale illustrato” del 1865:
Conviene fare una necrologia quando parlasi oggidì del lago Fucino, perché è sul punto di sparire e ben presto non esisterà più. Da mille ottocento anni gli uomini cospirano contro di lui: egli resistette finché ha potuto, ma è giunto finalmente il momento in cui dovette cedere alla potenza dell’intraprendente nostro secolo.
Lungo sarebbe il racconto di tutte le memorie storiche e di tutte le leggende che riguardano ai numerosi luoghi giacenti sulle rive del lago. La Marsica era nell’antichità il paese degli intrepidi guerrieri, degl’indovini e de’maghi; i suoi abitanti pretendevano discendere da Circe ed avere da lei colla cognizione delle virtù delle piante i segreti dell’arte magica. I Marsi erano ad un tempo preti, medici e dicitori della buona ventura; sapevano incantare i serpenti co’ loro carmi, guarire i morsi velenosi col loro tocco, comporre filtri: erano in una parola i Psilli dell’Italia, ma furono anche i più ostinati difensori della loro indipendenza contro la dominazione romana. Indichiamo solo di volo alcuni punti importanti di questo territorio eminentemente classico.
A’ piedi del monte Velino, una delle creste più elevate della catena principale degli Appennini, sovra un poggio a due vette vi sono le rovine d’Alba non la Lunga, ma. dell’ Alba Fucensis o del Fucino, grande città ai tempi romani, una delle loro tre colonie militari più importanti in Italia. Era circondata da triplice cinta di mura ciclopiche a macigni pentagoni, de’ quali vedonsi ancora alcuni avanzi; aveva fama d’essere inespugnabile, ed era traversata dalla via Valeria; era sede del deposito della legione marzia, rinomata pel suo valore; era fra le mura di lei che i Romani confinavano i più temuti prigionieri di guerra. Ivi fu ridotto Perseo, re de’Macedoni, a girarvi la ruota d’un lapidario, e il figlio di lui Alessandro aveva un impiego servile di scrivano negli uffici del municipio. Ad Alba venne detenuto Bituito re degli Arverni, prigione per la slealtà dell’avversario, come Toussaint Louverture per quella, di Napoleone I, e custodito da un consulto del senato, cui Escobar non avrebbe disconfessato. Vi si mostrano pure ler ovine della tomba di Siface, molto apocrifa invero. Alba aveva il suo senato, il suo collegio di pontefici, il suo teatro e il suo anfiteatro, batteva monete e contava da cinquanta a sessanta mila, abitanti. Il misero villaggio che ora sorge sulle sue rovine, non conta più di cinquecento anime.
Più lontano è Celano, il quale talvolta ha dato il suo nome al lago. Là eravi pure una città marsica molto importante, cui, impadronitisi i Romani, raserò al suolo e si perdette perfino la memoria del suo nome. Nel medioevo appartenne alla famiglia longobarda de’ Berardì, la quale per secoli ha somministrato alla Marsica conti, vescovi o perfino santi. Alle eleganti e severe mine del vecchio castello, va unita la memoria d’un compagno di Carlo d’Angiò; non ci pervenne che il soprannome, ma questo ci dice che doveva essere Accrochemur, di cui si fece Acclozzemuro. Dopo la battaglia di Tagliacozzo, la quale ebbe campo a poche miglia di distanza, il valoroso cavaliere s’impadronì colla scalata del castello, il che gli valse insieme al soprannome il più ricco feudo della Marsica.
I Piccolomini, gli Sforzi, gli Arezzi lo possedettero volta a volta, ed ora l’insulto del tempo fa ogni dì crollare qualche sasso della signorile dimora.
Non ci fermiamo ad Ortucchio, misero e febbroso villaggio, che per riconoscere le vicissitudini a cui erano sottoposti i vicini del lago e l’altezza che questo raggiunse nel 1816. anno della sua più grande escrescenza ne’ tempi moderni. Esso ha tracciato allora quella riga bianca che vedete sui muri della chiesa a più di 1, 50 m. sopra il suolo. Poco stette che Ortucchio non iscomparisce come Marruvio ed Archippa, la quale era stata inghiottita molto tempo prima che Plinio ne parlasse come d’una tradizione. Il Fucino nel 1816 era a più di 12 m. sopra il livello che aveva nel 1783. Per buona sorte l’escrescenza si fermò, il lago si ritirò, e vent’anni dopo, nel 1835 discese al suo più basso livello. Ortucchio trovavasi allora a due miglia dalla sponda del lago, sopra una leggiera eminenza. Nel 1861 il lago era rimontato di 9 m. e il povero villaggio era ritornato un’ isola, l’acqua già lavava la soglia delle sue prime case.
Vi sarebbe ancora per terminare il periplo da parlarvi di Trasacco, di Luco l’antica Angizia e di Penne, che ebbe sorte simile a quella d’ Archippe e di Marruvio; ma lo spazio si ristringe, d’uopo è che ritorniamo allo stesso lago, del quale scolano ad ogni secondo 30 metri cubici. Le sue ore sono a lui contate come a noi le righe.
Dalle città inghiottite che noi abbiamo nominate, vedesi che il Fucino era un vero Orco coronato di fiori ; seducente gìà invitava a venire a sedersi sulle sue rive, poi quando vi erano bene adagiati, egli sommergeva gl’imprudenti ; compiuta la sua opera di distruzione, egli ritiravasi, offrendo di bel nuovo all’ umana industria l’attrattiva de’ fertili terreni che lasciava in secco. I Marsi, impotenti a difendersi contro i suoi terribili capricci, ne avevano fatto un dio e gli avevano eretto templi. Gli onori che rendevano a divus Fucinus non impedivano evidentemente a questo di continuare i suoi danni sopra quello dei vicini, i quali finirono col pensare che il genio di Giulio Cesare avrebbe potuto benissimo esser tale da porlo in ragione. Questo grand’ uomo infatti concepì pel primo il pensiero, se non di prosciugare interamente il lago, di ridurne almeno considerevolmente l’estensione e di contenerlo in limiti fissi ; ma non ebbe il tempo di porre il suo progetto in esecuzione. Fu l’ imperatore Claudio che ottant’ anni più tardi lo tentò. Il pensiero era ardito come colui che l’aveva avuto, l’esecuzione presentava spaventevoli difficoltà, che, per istabilire un diversorio a quell’ immenso bacino, occorreva costruire un canale sotterraneo di più di 6 chilometri di lunghezza, traforare la base d’un monte di calcare durissimo, passare a più di 100 metri sotto il livello del suolo in terreni travagliati da convulsioni che sorpassano l’immaginazione, e sboccare nel fiume Liri , il quale sotto il nome di Garigliano gettasi in mare nel golfo di Gaeta. Tutti questi lavori i quali richiedevano a quel tempo sforzi sovrumani, furono eseguiti in undici anni con l’aiuto di 30.000 operai e di favolose somme. Questa costruzione è a buon titolo una delle più celebri dell’antichità, e il canale prese il nome d’emissario di Claudio. Questi che non era più felice di favoriti che di donne, ebbe la malaugurata idea d’ affidare l’esecuzione di quel gigantesco lavoro a Narciso, è quest’imprudente favorito seppe farsi una scandalosa fortuna a spese della solidità dell’opera. Il giorno in cui Claudio faceva l’ inaugurazione del suo emissario, crollò una parte della volta; l’imperatore morì poco dopo e il suo successore abbandonò l’ impresa. Trajano ed Adriano vi fecero restauri di poca durata ; più tardi i tentativi si rinnovarono spesso, ma senza migliore riuscita, e il Fucino, continuando i suoi guasti, finì coli’ essere creduto indomabile.


Quello che restava dell’emissario romano, era piuttosto un grave imbarazzo che una facilità nel progetto a cui il prìncipe voleva dare esecuzione. La vecchia costruzione era in tale stato di sfasciamento e di rovina che rendeva più pericolosi i nuovi lavori ; il lago in escrescenza aveva inondate del tutto le gallerie nella prima metà, e l’altra, piena di rovine, di frane, di filtrazioni permetteva appena che si avventurassero a penetrarvi. Altronde quest’emissario non era stato fatto per prosciugare intieramente il lago, ed era essenzialmente pensiero del principe di tradurre in fatto quest’ardito progetto. Fu deciso che l’emissario di Claudio sparisse per far posto a una costruzione tre volte più grande, fatta con materiali assai più belli e solidi di quelli impiegati dai Romani. Apparterrebbe agli uomini dell’arte render conto delle immense difficoltà d’un simile lavoro, specialmente nelle sfavorevoli condizioni in cui era posto. Sono quasi dodici anni che sono cominciate le opere di prosciugamento del Fucino e sono lungi dall’esser vicine alla fine. La buona riuscita è assicurata, il problema insolubile per diciotto secoli è risolto e la più bella galleria sotterranea surroga le informi ruine del vecchio emissario; ma l’opera non è ancora compiuta e dopo i dieci milioni che come dicesi, ha costato, Dio sa quello che esigerà ancora. Nel 1862 le acque del lago scorsero per la prima volta nell’emissario Torlonia. Questa volta non erasi mischiato nell’impresa nessun monarca e nessun Narcisso, ed è riuscita.
L’emissario non era per altro ancor finito; non era ricostruito nelle nuove proporzioni che per due terzi della sua lunghezza, ma il lago era talmente cresciuto durante i lavori che era impossibile continuarli senza farlo ritornare ne’ limiti più ristretti. Compiuti erano 4.000 m., ne restarono ancora 1.400 da finirsi. Lo, scolo durò quindici mesi durante i quali il lago s’abbassò di 5 m. Allora fu sospeso per apparecchiare un secondo, il quale questa volta lo farà abbassare di altri 5 m. Il nuovo scolo fu incominciato il 28 agosto scorso; fra due anni si ratterà ancora per terminare la ricostruzione de’ 1.400 m che compiono la lunghezza dell’antico emissario e per continuare il nuovo di 500 a 600 m. nel bacino al di là del punto in cui si fermarono i Romani; di modo che l’emissario Torlonia avrà 6.300 m. di lunghezza quando sarà terminato. Non solo sarà il più grande canale sotterraneo che sia esistito, ma avrà posto in secco il più grande lago che finora sia stato prosciugato artificialmente.
L’ultimo scolo ha prodotto 2,000 ettari di terreno assai fertile, cui il principe ha lasciato riprendere senza alcun compenso dai loro antichi proprietari; in quanto a lui, egli aspetta ancora d’essere ricompensato delle sue immense spese. E vero che per dargli coraggio e pazienza, aggiungeva il nostro cicerone, menando il capo più d’un annegato di ieri chiamato oggi alla vita in grazia dell’opera di lui, lo strangolerebbe quasi per usurpare qualche lembo di quel terreno cui egli paga sì caro; e in mancanza di corda si saprà servire del litigio. Misera umanità.
Se voi siete agronomo ed economista, calcolate, caro lettore, le conseguenze che deve avere questo prosciugamento sulle condizioni agricole economiche del paese in cui viene fatto; cercate quali influenze deve avere sovra di esse la produzione di 16.000 ettari di terra vergine abbandonati in pochi anni all’attività e all’industria d’una laboriosa popolazione, la quale manca di terre coltivabili e per sei mesi dell’anno è costretta ad andare a cercare lavoro lungi dal proprio focolare, in insalubri contrade nelle quali viene decimata dalle febbri. La non è essa una fonte insperata di ben essere per i poveri Marsi a lungo maltrattati dal Fucino? Vorrei potervi dipingere quella espressione di odio soddisfatto de’ contadini, quando vi dicono sorridendo: «O signoria, Fucino ha finito per trovare il suo padrone. Questa volta se ne va davvero!»
La storia inserisce simili esempi nelle prime pagine del suo libro d’oro.