Inchiodano le porte per difendersi dal freddo
Appena si arrivò a Celano, la macchina si diresse verso la zona delle capanne, ma subito dovette rallentare perché la strada era così sconquassata che c’era il pericolo di ribaltare. Si scese, che non si era ancora arrivati nel mezzo del villaggio, e una frotta di bambine ci venne attorno, poi vennero le donne, gli uomini, e senza che noi gli si dicesse nulla, ci indicarono laggiù la parte delle capanne.
– Ci vengono a fare le fotografie, – disse una donna.
– E quante ce ne fanno? – …
Il fotografo tirò fuori l’apparecchio, mise la lampada. Una donna gli andò vicino e gli chiese piano:
– Ma ce le faranno poi queste casette?
Ora si era entrati in mezzo a un groviglio di vicoli, con certe casette fatte con la mota, i tetti bassi, le porte di tutte le misure. Davanti a uno di quegli usci c’era un uomo che, per uscire, si era dovuto curvare a metà.
– Ma cos’è? Un canile?
– No, è sempre stata una casa. L’hanno fatta così.
Intanto si camminava fra i vicoli, guardando a destra e a sinistra. Il fotografo stava attento. Da una parte venne un tossire strozzato, e poi si sentiva un singhiozzo lungo come un urlo e la tosse ripigliava.
– Dov’è?
Non era in una casa. Si vide una bambina di circa quattro anni, in piedi, nella melma che le arrivava alle zampette. Tossiva, poi per ripigliare fiato, faceva quell’urlo e tornava a tossire. Quando la bimba alzò la testa, ci aveva un filo di bava che arrivava sul vestitino. Riprese a camminare, alzava i piedini coperti di melma, come un blocco, li rituffava. Dopo un pezzetto di strada si fermò e incominciò a tossire un’altra volta.
– E il dottore? Perché non la fate visitare?
– Il dottore? Quale dottore?
La macchina del fotografo ogni tanto mandava lampi nell’interno delle capanne, e si vedeva per un attimo nel bagliore, i cenci e tutti quei pezzetti di miseria che riempiono quelle capanne. Anche lì dentro non si sapeva dove mettere i piedi: o fango o ciottoli.
Sulle soglie tutti ci aspettano:
– Entrate ecco, vedete?
Qui ci abitano sei persone. È una specie di stanza, si batte la testa nel soffitto. Il padre dei bambini è morto da Torlonia, sui lavori.
– E come mangiate?
La vecchia si stringe nelle spalle, i bambini guardano e aspettano che il fotografo levi la lampadina per buttarla, ché quello sarà il loro giocattolo.
Le soglie nelle porte si confondono col fango, il fango entra dentro, si spiaccica e un odore di lezzo entra da per tutto.
In questo villaggio non c’è un cenno di scuola. Forse lassù, attorno al castello, là ci deve essere. Ma quello sul monte, pare un altro mondo, che non ha nulla a che fare con la gente delle capanne. Un vecchio si mette a spiegarmi, parla lentamente:
– Queste baracche, le fecero nel 1915, dopo il terremoto. Ci dissero che erano provvisorie, giusto per ripararci in quei giorni! Poi sono passati 35 anni.
Dopo Celano si andò a Pescina e anche lì capanne di fango, di carta incollata, tavole marce, e dopo si trovò il villaggio di Trasacco coi bambini ammalati e sempre quel fango color piombo che riempie i vicoli.
– Ma la scuola, il medico?
Qualunque domanda si fa, loro si stringono nelle spalle.
– È tutto qui – rispose una donna. – Tutto quello che vedi…
A un certo punto quelli del villaggio ci volevano portare a vedere una capanna, ma appena arrivati davanti, una vecchia s’affacciò da un buco. Gli si disse di aprire e lei rispose che non poteva.
– Perché?
Allora ci spiegarono che la vecchia aveva inchiodato la porta perché se no c’entrava il freddo.
Anche a Trasacco come dappertutto, queste canapucce misere, sono quelle che fecero dopo il terremoto del 1915 e che dovevano essere provvisorie, solo per pochi giorni, e poi sono passati 35 anni!
Dentro un’altra capanna, un giovanotto s’è alzato da un pagliericcio per terra. Il pagliericcio è bagnato, non c’è lenzuola, solamente un pezzo di coperta.
Il giovane sorride.
– Come va?
Lui senza dir nulla si mette la mano in tasca, tira fuori una cartolina rosa, ce la fa vedere.
– L’ho ricevuta stamattina…
L’ha guardata, poi ha detto sottovoce:
– E poi dicono che si deve difendere le nostre case! Quali case?
Ezio Taddei
da Noi donne (n.7, febbraio 1951)