Lettera dal Fucino – Stendhal
Dal 7 al 20 di ottobre del 1832, Stendhal compie un viaggio in Abruzzo. In una nota del suo diario appunta brevemente le tappe di quella visita: Je suis revenu depuis peu du lac Fucino, Chieti, Pescara, l’Aquila, admirables murs d’Alba.
Dal blog di studi su Stendhal scopriamo che lo scrittore francese, autore di alcuni tra i più grandi capolavori della letteratura come Il rosso e il nero e La certosa di Parma, aveva sentito parlare di questa regione da Léon Lambert, che lui stesso aveva conosciuto a Marsiglia, città dove, ebbro d’amore, era arrivato per seguire l’attrice Mélanie Guilbert, e dove risiedette dal luglio 1805 al maggio dell’anno successivo.
Dall’incontro con Léon Lambert nacque una profonda amicizia, che durò fino alla morte di Lambert, avvenuta nel 1832.
In una lettera scritta probabilmente tra la fine del 1806 e l’inizio del 1807, Léon, durante un soggiorno in Italia, invia a Stendhal questa descrizione dell’Abruzzo:
“Gli Abruzzi dove risiedo sono all’estremità dell’Appennino. Una parte (l’interno) è un deserto continuo. È lì, credo, che il decoratore di Psyché ha preso i suoi modelli. Ricorderò a lungo questo sguardo a mezzogiorno; il sole che splende sopra un numero considerevole di montagne incolte e aride, su cui compare qua e là qualche leccio. L’Abruzzo Ulteriore è più fertile e più ricco, quando si inizia a scendere più giù verso la Puglia”.
In una delle sue Passeggiate romane, recante la data fittizia del 18 aprile 1828, Stendhal allude a un presunto viaggio“a Pesenta (?) sul Lago del Fucino e a Subiaco”, la storica cittadina laziale situato nella valle dell’Aniene. Tuttavia, il suo giro in Abruzzo avverrà solo pochi anni dopo, e più precisamente nell’ottobre del 1832, come ricorda l’autore nella sua missiva all’amico Vincenzo Salvagnoli, giovane studioso di Empoli conosciuto a Firenze nel 1823:
Al Conte Salvagnoli di Firenze, 29 ottobre 1832
Ebbene, come vi sentite? Vi siete ammalato dopo il vostro terribile mese di settembre? Dovreste venire qui con il vostro dotto amico. Ma rinuncio a vedervi nel mio palazzo, dove il vostro letto è pronto. Avete l’attitudine all’eloquenza ma non quella al viaggio. Io sono tutto il contrario. Sono appena tornato da una gita al Lago Fucino, durante un giro di 70 miglia. L’imperatore Claudio fece scavare un canale lungo 6 miglia sotto la montagna per prosciugare questo lago che è profondo solo 40 piedi. L’attuale Re di Napoli, uomo molto affaccendato, è venuto a vedere questo estuario che Claudio aveva fatto scavare da 20.000 schiavi e che ora è ingombro di terra. Il Re di Napoli sta spendendo 2.000 ducati al mese, e, se ciò si protraesse, nel settembre 1833 l’acqua del Fucino potrebbe confluire nel Liri. Ho visitato la città di Alba Fucentia, dove fu fatto prigioniero Siface (Re dei Numidi, NdT), ammirevole per le sue singolari mura dette ciclopiche. Da lì sono andato a vedere il mare a Pescara, ho ammirato Chieti, una cittadina posizionata come Volterra, ma il mare a Chieti è più vicino e le colline che la circondano sono belle come quelle di Firenze o di Siena. Ho trovato l’inverno all’Aquila, ho ammirato Antrodoco.
La prima tappa del tour in Abruzzo è sul Lago del Fucino, ora prosciugato, ma che all’epoca era il bacino carsico più grande dell’Italia peninsulare, situato a 669 metri sul livello del mare. Il Fucino, o Lago di Celano, che aveva rappresentato una fonte di vita essenziale per gli antichi popoli del Paleolitico superiore, cominciò a trasformarsi in un pericolo per le popolazioni al tempo di Giulio Cesare, a causa delle sue improvvise e devastanti inondazioni. Come scrive Stendhal, la situazione di incertezza e la prospettiva degli effetti benefici per l’agricoltura nella conca del Fucino, incoraggiarono l’imperatore Claudio a perseguire il progetto di Giulio Cesare e ad avviare l’opera di prosciugamento.
Quando Stendhal scrive che “nel settembre 1833 l’acqua del Fucino potrebbe confluire nel Liri”, allude alla gestione dei lavori eseguiti sotto la direzione di Afán de Rivera, direttore dell’Ufficio topografico del Regno di Napoli, al quale Francesco I affidò i lavori di bonifica del lago tra il 1826 e 1835.
Dopo la sua lunga dissertazione sul Fucino, Stendhal si dirige più a nord, e menziona Alba Fucens, dove resta colpito dalle mura ciclopiche.
Nel suo racconto Stendhal sottolinea la bellezza del paesaggio collinare di Chieti, “città situata come Volterra” e legata al doloroso ricordo di Métilde Viscontini Dembowski, perché la sua posizione geografica gli ricorda i dolci paesaggi
della Toscana. Dopo una veloce allusione a L’Aquila, dove è “inverno” – la città è a 700 metri di altitudine – Stendhal si spinge fino ad Antrodoco, l’antica Interocrium, sito di grande bellezza e punto di convergenza di due valli appenniniche, dove le gole sono ben visibili. È un luogo di terme alimentate da acque sulfuree. Il racconto di questo viaggio si interrompe qui per tornare, bruscamente, alla realtà fiorentina.
Nel 1839, pochi anni dopo il suo tour in Abruzzo, Stendhal cita Avezzano (AQ) nel romanzo breve La badessa di Castro, forse rievocando il ricordo di quella gita attorno al Lago del Fucino:
Qualsiasi cosa ne dicesse il principe Colonna, il passo di Elena non era poi così sconsiderato. Se si fosse recata alla Petrella tre giorni prima, ci avrebbe trovato Giulio Branciforte: la ferita al ginocchio gli impediva di camminare, e il principe l’aveva fatto trasportare nella grossa borgata di Avezzano, nel regno di Napoli. Alla prima notizia della terribile sentenza che il signor di Campireali aveva ottenuto, pagando, contro il Branciforte, sentenza che lo dichiarava sacrilego per violazione di clausura conventuale, il principe aveva capito che per proteggere Giulio non poteva più fare affidamento sui tre quarti dei suoi uomini. Era un peccato contro la Madonna, alla cui protezione ognuno di quei briganti credeva di avere diritti particolari. Se a Roma ci fosse stato un bargello abbastanza coraggioso da andare ad arrestare Giulio Branciforte in mezzo alla foresta della Faiola, avrebbe potuto riuscirvi.
Arrivando ad Avezzano, Giulio prese il nome di Fontana, e gli uomini che lo trasportavano furono discreti.
Un ringraziamento a Massimo Privitera per il supporto nella traduzione della lettera a Vincenzo Salvagnoli