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Un racconto di Giuseppe Pennazza contenuto nella raccolta questamarsica a cura di Romolo Liberale (Edizioni dell’Urbe, 1981).

La vergine pallida (antica leggenda marsicana)
L’ellittico, incantevole lago di Fucino, il grande lago dei Marsi, era immenso come il mare e, come il mare, aveva la bonaccia ed il terrore della tempesta.
Esso era racchiuso da una giostra di altissimi monti coperti di boschi e con cime perennemente candide di neve e da colline dove, tra una lussureggiante vegetazione, erano incastonati piccoli paesi, già antichissime e forti città marse e sontuose ville romane, con rocce, quasi a picco, lambite dalle acque.
Ortucchio, l’antica Ortigia, posta alle sponde orientali del lago, era una piccola penisola legata alla montagna da un sottile lembo di terra, che, per la crescenza delle acque, diventava isola e che, con la torre massiccia del castello, si specchiava nell’azzurro lago lasciandosi ammirare da lontano. Ogni casa di Ortucchio aveva di fronte alla porta una barca.
Nel medioevo scomparve l’antica gioia luminosa del lago: vennero tempi rozzi e feroci. Il lago azzurro si trovò assediato, oltre che da fortezze naturali con gole spaventose, nidi di briganti, da quelle costruite dai signori dei piccoli paesi, in lotta l’uno contro l’altro ed in continuo agguato tra loro.
Il lago, che all’epoca di Roma di notte era solcato da barche illuminate risonanti di cetre e di canti e che tingevano l’acqua di macchie d’oro, nel medioevo divenne deserto, buio, pauroso con rari fanali luminosi che tetramente splendevano sulle torri dei piccoli paesi lontani per servire da guida a qualche solitario e sperduto pescatore.
Un vecchio di Ortucchio, che nelle pupille aveva ancora l’immagine azzurra del lago che rimpiangeva, un giorno, molti anni fa, prima del terremoto della Marsica del 1915, mi fece il racconto che segue:
« Nel castello di Ortucchio, all’epoca del lago, molti, ma molti anni fa, abitava un ricco e terribile signore, terrore e morte degli abitanti che erano a lui soggetti. Egli, come gli altri signori delle terre vicine, aveva il potere di commettere, indisturbato, ogni sorta di violenze e di soprusi e di ribalderie. Il potente signore era vedovo e viveva con un’unica figliastra, graziosa e bella come un mattino e che amava ardentemente, all’insaputa del patrigno, un gentile e forte giovane pescatore del paese, che la ricambiava con eguale amore. Cosa inaudita in quell’epoca! …
Il giovane pescatore aveva avuto occasione di ammirare la fanciulla e di parlarle frequentando il castello per rendere alcuni servigi al padrone. Da ciò era nato il loro amore, ma essi raramente e di trasfuga potevano essere vicini e scambiarsi qualche parola. Nelle notti di luna, però, ad ora tarda, quando non si udiva altro che il muggire basso del lago, l’audace pescatore, di nascosto, attendeva la fanciulla in una barca che li portava nel mezzo del lago deserto ed immenso.
Quivi essi, sotto il cielo sparso di stelle scintillanti, si manifestavano trepidanti il loro ardente amore. Il giovane bruno, bello come un dio agreste, stringeva a sé la nobile e delicata fanciulla sussurrandole sul volto parole semplici, ma ispirate ad un amore puro e grande, ed essa, tremante di gioia, non aveva la forza di rispondergli, mentre dai suoi occhi si diffondeva una potente luce di dedizione e di amore.
Brevi e non frequenti erano questi deliziosi momenti. Altrimenti, spesso, il giovane si aggirava di notte con la sua piccola barca nei dintorni del castello e col liuto intrecciava dolci melodie d’amore nate da una pura naturale ispirazione. Questi canti, questi suoni ripetuti, non passarono inosservati al terribile signore del castello, destando in lui qualche sospetto.
Egli volle indagare, ma a nulla approdò; mai e poi mai avrebbe potuto immaginare che la figliola fosse implorata da un povero pescatore. Ad ogni buon fine, egli pensò di darla subito in moglie ad un ricchissimo ma brutto e mezzo stupido giovane signore, padrone del non lontano castello di Celano.
La fanciulla non lo conosceva e non l’aveva mai visto, ma sentì di non poterlo amare e tentò di ribellarsi al volere del padre senza riuscirvi ed il matrimonio avvenne per procura. Prima che essa si recasse a Celano presso lo sposo impostole dal patrigno, volle avere un ultimo appuntamento col suo giovane pescatore.
Era una tranquilla e tiepida notte di estate. In una piccola barca, sulle immobili acque del lago, sedeva il giovane pescatore abbracciando la sua diletta che gli poggiava il capo sul petto: era il loro abbraccio d’addio. Il giovane diceva all’amica del suo cuore: “Tu ora andrai via da me, ma non passeranno molti giorni che io verrò a prenderti e fuggiremo insieme lontano, lontano da questi luoghi”. La fanciulla, con le lacrime agli occhi rispondeva: “Non dubitare, io sarò sempre l’unica amante tua e mentre ti attenderò, costante sarà il mio pensiero a te. Vieni presto, mio caro”. Il giovane a sua volta, come preso da un cattivo presagio, disse: “Mia cara, giurami fedeltà eterna al cospetto di questo cielo stellato”.
Le stelle, il lago, i monti, i boschi, ascoltavano il loro giuramento; e prima dello spuntar dell’alba si abbracciarono l’ultima volta e si separarono.
La fanciulla fu condotta, già sposa, nel castello di Celano ed all’incontro con lo sposo le apparve manifesto il tradimento di cui era vittima. La sposa giovane e bella fu tanto indignata, da tenersi lontana da qualsiasi contatto con il brutto e stupido sposo; voleva ricorrere al Papa per sciogliere il matrimonio, ma la distolse il pensiero che presto il suo vero amante sarebbe venuto a toglierla da quella terribile situazione. La fanciulla rimase appartata e quasi prigioniera in alcune stanze superiori del castello dalle altissime torri merlate, con il suo triplice recinto di mura, con ponte levatoio e massicce saracinesche. I giorni passano lenti, tristi, interminabili. La giovane è sempre in attesa del suo amante che non giunge mai e di cui non ha alcuna nuova. Essa ha trascorso già più mesi nella sua dolorosa prigionia e tanto tempo è passato dalla notte in cui si è separata dall’amico del suo cuore; rammenta i brevi momenti di estasi con lui trascorsi sul lago; con la mente, con il cuore rivive deliziosamente le ore in cui erano stati insieme.
Non si stanca di attendere; passa le notti intere dietro il verone, quando c’è la luna, quando imperversa la pioggia e la tempesta, fissando con lo sguardo la torre del castello di Ortucchio. Che il giovane si fosse dimenticato di lei? Che non volesse mantenere il giuramento fattole?
Non è possibile. Una voce segreta le sussurra all’orecchio parole di speranza. Intanto, nell’attesa, la giovane prigioniera deperisce ed impallidisce sempre di più e rifiuta il cibo e la vista di qualsiasi persona.
Finalmente perde la speranza e dimentica della gioia di vivere le si oscura la luce degli occhi ed in una notte burrascosa, dopo aver rivolto un ultimo sguardo alla torre del castello di Ortucchio, si getta dalla finestra.
Il suo corpo inerte ed esile come un’ombra fu trovato il mattino seguente sul selciato del castello!
Questa fu la fine della vergine pallida!
Non si sa – mi disse il vecchio – se all’orecchio del patrigno arrivasse la notizia di questo amore nascosto mentre il pescatore faceva i preparativi per il rapimento. Il fatto si è che questi improvvisamente fu inviato dal terribile signore, per un’incombenza urgente, nelle Puglie, e di notte, transitando per Forca Caruso, fu proditoriamente ucciso e non si seppe altro di lui.»
Il vecchio di Ortucchio, terminando il suo racconto, mi assicurava che nelle notti tempestose si scorge l’apparizione di un fantasma dal volto pallido sulle sommità del castello di Celano e si ode da lontano, sui resti della rozza torre di Ortucchio, la voce di uno strano uccello notturno che piange e si lamenta come il suono di un flauto.
Il lago da moltissimi anni è scomparso, ma la sua immagine ricompare ai nostri occhi che non lo videro quando l’immenso piano, dove ora altre lotte si combattono contro altri inganni, altri soprusi ed altre ribalderie, è avvolto dalla nebbia.

foto di Marica Massaro (via Wikipedia)