Il lampione antico, le novelle della Vecchia Magliano di Pietro Luce
Far luce su un mondo passato, rischiarato dal bagliore di un lampione antico che vede ammodernare il paese con nuovi lampioni, di cemento, rimanendo solitario e di ghisa. È la prima novella che dà il titolo alla raccolta Il lampione antico, libro datato 1987, nato dalla penna e soprattutto dalle memorie di Pietro Luce.
Le novelle ripercorrono momenti di vita marsicana e maglianese, coprendo un arco temporale che va, all’incirca, dal 1860 al 1960. Storia e destini si incrociano sotto lo sguardo del Velino, in “un’epoca ormai tramontata, che scorreva serena per chi aveva da vivere; ma anche per chi non ne aveva, l’esistenza non diventava mai una tragedia, perché la gente era abituata a vivere con poco”. 11 P. Luce, Il lampione antico. Novelle, Edizioni dell’Urbe, Roma, 1987, p.94.
Attraverso le avventure di diversi personaggi di paese, ovviamente soprannominati, perché “il paesano vero ha un innato senso dell’umorismo ed appioppa soprannomi ai suoi simili con acume sorprendente” 22 Ivi, p..117 , passano i grandi eventi della storia, dalla reazione borbonica al terremoto del 1915.
La reazione borbonica, mentre ancora si svolgeva l’avventura garibaldina, capitanata dal colonnello Von Kleischt, chiamato comunemente Lagrange, fa da sfondo alla novella di Cernitto e Patacca. La spedizione punitiva a opera di Franceschiello Borbone, ultimo re di Napoli, nacque per vendicarsi di quelle popolazioni del suo regno che avevano votato l’annessione alla corona sabauda, tra cui il piccolo comune di Magliano. All’approssimarsi della rappresaglia, gli abitanti abbandonarono in massa il paese per rifugiarsi sui monti circostanti con cesti e panieri. Rimasero in paese solo due braccianti agricoli, Cernitto e Patacca, che cercando di fuggire attraverso un cunicolo trovarono dei marenghi d’oro sotterrati. Anche il paese fu benedetto da altrettanta fortuna: apparve davanti agli occhi del generale Lagrange la visione dei due santi patroni e tutto l’esercito, spaventato, abbandonò velocemente il paese. Era il 20 ottobre 1860, giorno che viene ricordato tuttora con la rievocazione storica. 33 Ivi, p.22.
La testimonianza del terremoto è invece affidata ai genitori dell’autore, inserita nella cornice narrativa delle lunghe serate invernali attorno al camino scoppiettante. All’alba l’aria era rigida e nel buio Vincenzo Luce avvertì il nervosismo degli animali, senza riuscire a trovare minaccia visibile. Un racconto di narici dilatate, lacrime calde contro il freddo pungente, tanta polvere e l’urgenza di doversi rialzare, dove si poté farlo. I maglianesi dovettero: l’esercito regio, inviato per soccorrere le popolazioni della Marsica tramite ferrovia, scorgendo da lontano il campanile in piedi (rimasto in piedi per puro caso, unica sentinella a vegliare sui morti), non s’era fermato alla stazione di Cappelle-Magliano, ma aveva proseguito per Avezzano. Prima che arrivassero i soccorsi passarono alcuni giorni e intanto i morti venivano accatastati per poi essere gettati in una fossa comune a Via Massa d’Albe, per timore di una pestilenza. 44 Ivi, p.75.
Tra le pagine si intravedono, grazie alle illustrazioni tratte dalla cartella di grafica “Magliano d’altri tempi” di Giuseppe Di Girolamo (1980), strade e luoghi di una Magliano dei Marsi che non c’è più: Il convento di San Martino (ai piedi del monte Carce), piazza del mercato, Porta Orientale, Porta Solara, il cinema Eden al giro di Tornaterra, i cui titoli erano gridati dalla figura ormai scomparsa del banditore. Una figura rimasta viva solo sulla pagina, perché quando Luce scrisse le sue novelle era il 1987, e ormai il banditore del paese, Giovanni detto “Cuccella”, era sparito insieme ai nomi degli attori americani che pronunciava italianizzandoli: “Gregory Pek diventò Gregorio Pecco, John Waine Gianni Vaine. Anche l’italiano Fosco Giacchetti subì un ulteriore battesimo e si chiamò Fosco Giacchetta”. 55 Ivi, p.138.
Tra i personaggi dell’universo memoriale, nel libro appare anche una conoscenza nota ai marsicani: il brigante Viola. Un’eco siloniana risuona nell’incipit della novella: “quando nell’aspra e selvaggia terra d’Abruzzo il cuore della Marsica era in mano ai principi Torlonia, in ogni paese c’era plebe e nobiltà. Il nobile possedeva comode carrozze […]. Il povero andava a piedi, mangiava pizza gialla con uno spicchio di cipolla, quando ne aveva […]. Di tanto in tanto, tra la plebe veniva al mondo qualche testa calda che, ribellandosi al suo destino di povero ignorante, si trasformava in efferato e temibile brigante. Viola, marsicano, giovane astuto, non avendo altri beni al sole che la sua pelle, si diede a latitare tra i boschi…”66 Ivi, p. 58.
Il libro si compone di novelle brevi, in equilibrio tra l’aneddoto e la memoria storica, proprio come la voce di ogni paese della Marsica tramanda le sue storie. Come nota l’autore delle immagini, il preside a cui oggi è intitolata la scuola del paese, Giuseppe Di Girolamo: “i personaggi trasbordano dalla vita del paese per divenire testimonianza di una vita piena di miserie e di dolori, [..] di un mondo, insomma, che la civiltà tecnologica ha relegato negli abissi della memoria, ma della cui eredità non possiamo fare a meno, se vogliamo alimentare ancora la speranza che alla fine l’uomo sopravviva e, con lui, le bellezze del creato” 77 Ivi, p.10..
Un explicit che ricorda Pasolini, quando il 1° febbraio 1975 espresse nell’articolo Il vuoto del potere, apparso sul «Corriere della Sera», la sua amarezza per la trasformazione dell’Italia rurale a lui cara con l’immagine divenuta famosa della «scomparsa delle lucciole dalle campagne italiane»88 P.P. Pasolini, Scritti corsari, Milano, Garzanti, 1975, p. 128. . A Magliano dei Marsi, invece, le lucciole erano l’ultima luce di un lampione antico che non voleva spegnersi.
Ludovica Salera
Giornalista