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L’Abruzzo nei disegni e nei ricordi di Saul Steinberg

Saul Steinberg è stato uno tra i più importanti disegnatori del XX secolo, riuscendo a tradurre in immagini una poetica ironica fatta di tratti essenziali e allo stesso tempo riconoscibilissimi. Famoso in tutto il mondo per aver saputo rappresentare caratteri e umori del dopoguerra, Steinberg ha avuto una delle carriere più straordinarie nell’arte americana; per quasi sei decenni il suo stile ha reso celebri le grandi copertine del New Yorker; gallerie e musei di tutto il mondo hanno ospitato e ospitano i suoi disegni, i dipinti, le stampe, i collage e le sculture (la Triennale di Milano, proprio in questi mesi, ha dedicato alle sue opere una mostra che resterà aperta fino al 13 marzo 2022).

Il legame di Steinberg con l’Italia

Saul Steinberg nacque il 15 giugno 1914 a Râmnicu Sărat, in Romania, figlio di Moritz e Rosa Steinberg. La famiglia si trasferì presto a Bucarest, dove Moritz aprì una piccola tipografia e legatoria e in seguito produsse scatole per caramelle e cosmetici. Fu nella bottega del padre che il giovane Saul conobbe per la prima volta l’arte attraverso le riproduzioni usate per decorare le scatole.

Dopo il diploma nel 1932, frequentò per un anno la Facoltà di Filosofia e Lettere dell’Università di Bucarest, prima di iscriversi alla Facoltà di Architettura. La quota ebraica per l’ammissione alle classi era molto ridotta e a Steinberg fu negato l’ingresso. Nell’autunno del 1933 si iscrisse al Regio Politecnico, la scuola di architettura dell’Università degli Studi di Milano. Uno dei compagni di classe di Steinberg era Aldo Buzzi, che divenne autore, montatore, regista e sceneggiatore. I due strinsero un’amicizia che durò per tutta la vita e le lettere postume di Steinberg a Buzzi (1945-1999) forniscono un’importante testimonianza del corso personale e professionale della vita dell’artista.

La prigionia a Tortoreto

Nel 1936, mentre era ancora uno studente di architettura, Steinberg iniziò a contribuire con alcune vignette al quotidiano umoristico bisettimanale italiano Bertoldo e divenne presto uno degli artisti più popolari del giornale. L’acuto spirito visivo delle immagini di Bertoldo avrebbe contraddistinto gran parte della sua arte.
Nell’aprile del 1938 lasciò Bertoldo per il suo rivale Settebello, dove fece parte della redazione. Ma il suo mandato fu di breve durata. A settembre, la promulgazione delle leggi razziali fasciste gli impedì di continuare a lavorare. Dopo aver conseguito la laurea nel 1940 (dove campeggiava la dicitura “di razza ebraica”)  iniziò una lunga e angosciosa ricerca per trovare rifugio in un altro paese. Prima di riuscire a tornare definitivamente negli Stati Uniti, Steinberg venne arrestato dalla polizia trascorse sei settimane in un campo di internamento in Abruzzo, a Tortoreto (TE).  Grazie alla Saul Steinberg Foundation e alle testimonianze raccolte da Aldo Buzzi, abbiamo la possibilità di scoprire quali furono le impressioni dell’artista durante la sua permanenza a Villa Tonelli, all’epoca adibita a campo di internamento.

L’ingresso di Villa Tonelli a Tortoreto, maggio 1941, da un diario scritto tra il 1940 e il 1943. Saul Steinberg Papers, Beinecke Rare Book and Manuscript Library, Yale University.
La branda di Saul Steinberg a Tortoreto, maggio 1941, da un diario scritto tra il 1940 e il 1943. Saul Steinberg Papers, Beinecke Rare Book and Manuscript Library, Yale University.
Uno schizzo del dormitorio dei prigionieri nel campo di internamento di Tortoreto, maggio 1941, da un diario scritto tra il 1940 e il 1943. Saul Steinberg Papers, Beinecke Rare Book and Manuscript Library, Yale University.
Ricordo di Tortoreto regalato a Steinberg dai suoi compagni di prigionia a Tortoreto, 6 giugno 1941. Disegno di Villa Tonelli di Walter Frankl. Saul Steinberg Papers, Beinecke Rare Book and Manuscript Library, Yale University.

Memorie di Tortoreto

da Riflessi e ombre – Saul Steinberg con Aldo Buzzi

Siamo arrivati a Tortoreto degli Abruzzi, dopo due giorni di viaggio, di dormite sulle panchine delle stazioni, di cambi di treno. Il campo era una villa da cui si vedeva il mare, ma non avevamo il permesso di andarci. Era un piccolo campo, con forse 50 confinati: qualche ebreo, russi bianchi, zingari, gente senza passaporto, profughi, tenuti lì in modo abbastanza improvvisato e umano in paragone altri campi. Sono stato fortunato. Il cibo principale a Tortoreto, era pane e tè: tè perché non c’era caffè, in Italia si è sempre trovato il tè perché nessuno lo prende. Invece dello zucchero si usava un po’ di miele, una caramella. Anche il pane faceva da zucchero, perché inzuppato nel tè diventava dolciastro. C’era un grande traffico di pane, pane fresco, pane secco, pane di tutti i colori. Con erbe, erbette, un po’ di cipolla si facevano zuppe di pane, torte di pane. Il Papa ci dava 6 lire al giorno come sussidio e anche per mettersi l’anima in pace. Io sono stato lì in maggio, per fortuna: faceva caldo, c’era un bel sole di primavera e già si cominciavano a trovare delle verdure. Molte cipolle, ho visto perfino un cane mangiare cipolle: un cane che stava con noi e non sapeva di stare in un campo di concentramento.

Le donne di Tortoreto derivavano direttamente dai mosaici Bizantini di Ravenna. Avevano occhi rotondi (occhi come quelli che ho visto poi sui Comic strips: Mickey Mouse, Orphan Annie…) di una fissità incredibile e con sopracciglia grosse come baffi, una pelle tesissima, che sembrava imbottita dentro al punto da scoppiare, di un colore verso il rame. Portavano sulla testa delle grandi mezzine di rame con l’acqua, e camminavano con la dignità di chi porta il mondo sulla testa. Erano molto curiose di questi giovani stranieri che vedevano per la prima volta  (le invasioni di eserciti del turismo erano ancora di là da venire). Ci fissavano con passione anche perché, guardando, non potevano girare la testa a causa del peso che ci avevano sopra.

Quasi vedevo i raggi, il fuoco che usciva da quegli occhi.

23 gennaio 2022