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 La Marsica del primo dopoguerra nelle incisioni d’arte di Luigi Bartolini

Quando nel 1920 Luigi Bartolini arriva ad Avezzano per insegnare disegno alle scuole superiori, ha poco meno di trent’anni e già una guerra alle spalle. Possiamo provare a immaginare la sensazione di trovarsi in una città ancora fortemente segnata dal devastante terremoto di cinque anni prima: una città di baracche di legno e di nuovi dialetti, giunti per iniziare una lunga ricostruzione.

Bartolini, originario di Cupramontana nelle Marche, è immerso fin da piccolo nell’ambiente artistico, grazie al padre, direttore scolastico dalla vasta cultura classica appassionato di pittura. Bartolini studia Belle Arti a Siena, per poi trasferirsi due anni dopo, nel 1909, a Roma. Ed è proprio lì che inizia a specializzarsi nell’incisione, seguendo corsi di anatomia e studiando con grande attenzione i lavori dei grandi maestri, come Goya. La Prima Guerra Mondiale lo vede impegnato in prima linea come ufficiale di artiglieria sul Carso e sul Piave, ottenendo anche la medaglia di bronzo al valore militare. Una volta tornato dalla guerra Bartolini riprende a scrivere, incidere e dipingere, iniziando la sua attività di insegnante prima a Sassari e poi ad Avezzano, dove arriva agli inizi degli anni ’20.

Luigi Bartolini – Cimitero dei prigionieri di Guerra (National Gallery of Art)

Ad Avezzano, durante la Prima Guerra Mondiale, venne costruito un grande campo di concentramento per i prigionieri dell’esercito austro-ungarico, arrivando a contenere sino a circa 15 000 persone. La scelta di costruire un campo nella città marsicana era stata determinata dalla necessità di manodopera per la ricostruzione in seguito al Terremoto del 1915. I soldati, infatti, ebbero un ruolo attivo in numerose opere, come la rimozione delle macerie e la realizzazione di edifici pubblici e strade. Il loro lavoro permise di far ripartire i lavori nei campi del Fucino, di piantare nuovi alberi sul monte Salviano e di bonificare i corsi d’acqua. Il cimitero destinato ai prigionieri venne realizzato in una posizione distante rispetto al campo di prigionia, in località Chiusa Resta, dove una stele ricorda 542 prigionieri deceduti che concorsero alla ricostruzione della città di Avezzano. Bartolini realizza un’incisione proprio all’interno del cimitero di Avezzano, aggiungendo anche una riflessione, quasi una poesia: “…La natura canta. Uccelli e contadine giovinette. I morti odono e piangono la vita. Alcune frasche si mossero ed un morto così mi parlò: La breve vita che ti rimane passala a contemplare. Si contempla con la punta dell’acquaforte e si gode! Che baratro immenso! Io godo nel fondo del cimitero. Ah pietà mio Dio e conservami in vita! Ma lo stridore del becco d’un uccello assomigliava ad un morto che avesse digrignate le mandibole ed una carezza del vento mi parve la carezza d’un morto”.

Il legame di Bartolini con la Marsica e l’Abruzzo è testimoniato anche da altre due incisioni degli anni’20: una veduta di Tagliacozzo del 1925, con uno scorcio del paese dove si riconosce il Campanile di San Francesco, e un’incisione di una Sposa Abruzzese, datata 1920, dove si intravede un profilo gioioso e fiero di una donna, con gli occhi nascosti dai capelli.

Luigi Bartolini – Tagliacozzo (Il Bulino Antiche Stampe)

Luigi Bartolini – La Sposa Abruzzese (LuigiBartolini.com)

Durante la sua carriera Bartolini realizzò migliaia di lavori di incisione, esposti nei più importanti musei di tutto il mondo, affermandosi tra i maggiori incisori italiani del Novecento assieme a Giorgio Morandi e Giuseppe Viviani. Prolifico autore di romanzi e poesie, le opere di Bartolini sono state pubblicate da alcune delle maggiori case editrici italiane, tra cui Vallecchi, Mondadori e Longanesi. Per l’editore Polin di Roma ha pubblicato il romanzo utilizzato da Cesare Zavattini per la sceneggiatura di uno dei grandi capolavori del Neorealismo: Ladri di Biciclette.

L’attività artistica di Bartolini proseguirà con grande successo fino al 1963, anno della sua morte.